di Franz Giordano
“Heinrich Herzog ci scrive: traditori del popolo. E c’è chi usa parole più pesanti: fottiti Ard, il canone non lo pago”. Kai Gniffke solleva lo sguardo dal tablet, guarda in camera, si aggiusta gli occhiali e con un tono asciutto continua a leggere i messaggi appena arrivati sul profilo Facebook della Tagesschau, il telegiornale della televisione pubblica tedesca Ard. Gniffke è il caporedattore della testata. E sta parlando in diretta. Su Facebook. Ha una espressione molto seria, quando invita chi lo sta insultando online a raggiungerlo in video: “Tutti quelli che stanno scrivendo in questo momento possono collegarsi via Skype, per confrontarsi con me”.
Fermare l’odio
“Sag’s mir ins Gesicht” (Dimmelo in faccia), si chiama così la campagna contro l’hate speech lanciata dai giornalisti della Tagesschau, che hanno scelto di reagire di fronte all’aumento delle aggressioni verbali sui profili social. “In Germania – scrive Anne-Mareike Krauke, social media manager della Tagesschau – 30 milioni di persone utilizzano Facebook, sulla nostra pagina riceviamo ogni giorno in media 12mila commenti, due anni fa erano 3mila; l’89 per cento dei cittadini tra i 16 e i 24 anni – praticamente tutti – usa almeno un social”, ormai luoghi centrali del discorso pubblico. E secondo la televisione tedesca, questo spazio, sempre più importante in una democrazia, non può essere monopolizzato da quella rumorosa minoranza che avvelena le discussioni. Dunque, che fare? I giornalisti tedeschi hanno deciso di entrare fisicamente nell’agorà virtuale, con un programma: tre puntate di un’ora in diretta su Facebook, per discutere con gli spettatori che accettano di collegarsi via Skype, mettendoci quindi a loro volta la faccia. “Due gli obiettivi – spiega Krauke – Migliorare la cultura del dibattito in rete e dare un segnale contro l’odio crescente”. Non vi piace come stiamo affrontando una notizia, non siete d’accordo, volete capire come funziona il nostro telegiornale, bene. Chiedete, criticate, argomentate. Non fatelo digitando con foga parolacce sulla tastiera. Ma parlate e prendetevi la responsabilità di quello che dite. Questa la sfida lanciata dal telegiornale della televisione pubblica tedesca.
“Non siamo l’élite”
“Vogliamo mostrarvi che non ci nascondiamo, se i toni si scaldano. Che non molliamo facilmente, che cerchiamo il dialogo. Vogliamo mostrarvi che non siamo elitari”. Il discorso di Gniffke all’inizio della prima puntata di “Sag’s mir ins Gesicht” è un manifesto, in cui emergono le motivazioni della campagna, ma anche i timori di una categoria, quella dei giornalisti, rimasta spiazzata di fronte ai cambiamenti veloci e radicali dell’ultimo anno, come la Brexit e l’elezione di Trump, due avvenimenti che la maggior parte degli editorialisti e dei sondaggisti non aveva previsto, due voti in cui ha pesato la polarizzazione (anche alimentata da alcuni protagonisti della politica internazionale) che si è creata nella società occidentale. Da una parte, nei centri delle grandi città, i politici, gli esperti, i manager delle multinazionali, gli intellettuali, i giornalisti. Dall’altra – nelle periferie e nelle regioni colpite dalla crisi – quei cittadini che hanno perso il lavoro, che sono diventati più poveri o solo più insicuri rispetto al futuro. Sono soprattutto loro ad esprimere le proprie paure, la rabbia e purtroppo anche l’odio attraverso i social, strumenti che annullano la distanza con quella che per loro è l’élite responsabile della situazione attuale. Quando Gniffke dice “Non siamo elitari” cerca di colmare il vuoto che si è creato tra i giornalisti della Ard e una parte dei telespettatori. Vuole ricostruire quel patto di fiducia che si è logorato con il pubblico che su Facebook si fa sentire con toni spesso violenti. Con una grande differenza rispetto al passato: fino a qualche anno fa, gli haters si nascondevano dietro l’anonimato; oggi invece sui social hanno nome e cognome, un profilo che ci racconta chi sono. Insultano e non si vergognano di farlo, anzi. Ѐ caduta una barriera.
Tra scrivere e parlare, c’è di mezzo… un volto
“Puttana”, “Delinquente”, “Sciacquetta”. Sfregi verbali presi da un lungo elenco, un assaggio di quello che gli utenti hanno scritto nei mesi scorsi a Kai Gniffke, Anja Reschke (capo della redazione Interni della Ndr, la tv della Bassa Sassonia consorziata con l’Ard) e Isabel Schayani (redattrice della Wdr, la tv della Renania Settentrionale – Vestfalia). Tre volti noti, tre bersagli dell’hate speech, che a turno si sono seduti davanti alla telecamera, nello studio minimal (una sedia senza scrivania e sfondo nero), per condurre la videochat “Sag’s mir ins Gesicht”. Dal costo del canone ai servizi sulla guerra in Ucraina, dalle espressioni utilizzate per descrivere l’Afd (il partito di destra Alternative für Deutschland) al difficile rapporto con le fonti in zone di guerra o nei palazzi della politica, fino alle espressioni volgari che invadono i social. I tre giornalisti hanno discusso di questo e molto altro, con le persone che si sono collegate dalla loro stanza o da una strada della provincia tedesca. Una serie di confronti serrati, in cui ha prevalso la necessità di argomentare le proprie posizioni, con un linguaggio a volte duro, ma sempre rispettoso dell’interlocutore. “Ѐ difficile esprimere odio, quando si guarda in faccia qualcuno, questa è la nostra tesi”, dice Gniffke, che conclude la puntata soddisfatto e quasi sorpreso per l’assenza di parole offensive. Che sono spuntate invece nel flusso continuo di commenti su Facebook. Così come non sono mancate le polemiche sull’azione della Tagesschau, per esempio per alcuni interventi fuori contesto interrotti da Anja Reschke. Ma sono emerse anche tante reazioni positive. E nei tre giorni della campagna, a tutti quelli che su Facebook attaccavano, deridevano o coprivano di parolacce Gniffke e le colleghe, la Tagesschau ha risposto sempre con un post, un invito: “Dalle 19.00 saremo in diretta per un’ora, potete collegarvi via Skype…” Insomma, caro hater, mettici la faccia.