di Nico Piro
La morte di Gino Strada è una perdita per tutta l’Italia, quel Paese di cui lui è stato un vanto all’estero ma che di lui si è sempre vantata troppo poco. Lo dico con cognizione di causa, avendo visto – e ripetutamente – gli ospedali e gli interventi di Emergency nel mondo come in Italia.
La morte di Gino Strada è anche una perdita per l’informazione. Emergency ha sempre aperto le porte delle sue strutture ai giornalisti, per mostrare dalle corsie gli effetti delle guerre ma anche per aiutare chi al lavoro in aree di crisi può avere problemi piccoli e grandi. A volte anche solo per un caffè, una chiacchiera, una pastiglia contro la dissenteria. Altre volte per cose ben più serie.
Negli anni ‘90, in una Kabul che le fiamme della guerra civile cominciavano a devastare, l’allora giovane chirurgo del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Gino Strada, salvava la vita ad Enrico Cappozzo, il telecineoperatore che accompagnava lo storico inviato Rai Paolo Di Giannantonio. Enrico era stato colpito alla testa da una scheggia e in quelle circostanze rischiava di non tornare a casa.
Ma il contributo di Emergency e di Gino Strada all’informazione italiana e non, è stato anche un altro. Gino ci ha sempre spinto a guardare quei luoghi dai quali tutti distoglievano lo sguardo, a raccontare gli ultimi, nel nome di un’eguaglianza che non è fatta solo di ricchezze, di infrastrutture o di assistenza sanitaria ma è anche eguaglianza di attenzione e quindi di racconto di informazione.
Se ogni persona che ha ricordato oggi Gino sostenesse le sue battaglie, se ogni giornalista che ha fatto lo stesso illuminasse le “sue” periferie. Non solo il mondo ma anche il giornalismo sarebbero migliore.