di Paolo Borrometi
Erano le 17:58 del 23 maggio 1992, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, morirono con centinaia di kg di tritolo sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci ma nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo.
Ma Falcone iniziò a morire molto prima, isolato e condannato a morte dall’invidia di molti colleghi, dalle polemiche montate ad arte da giornalisti compiacenti, dai silenzi e dalla bocciatura del Csm che gli preferì, dopo le dimissioni di Caponnetto, Antonino Meli. Lo stesso Meli che, prima di concorrere contro Falcone, voleva concorrere per il posto di Presidente del Tribunale (chi lo convinse a cambiare idea?).
Falcone iniziò a morire quando alcuni palermitani denunciarono il disturbo della quiete pubblica ed il presunto pericolo che le scorte dei magistrati provocavano per i cittadini, scorazzando a sirene spiegate per la città. Gli stessi cittadini che, davanti ai continui morti ammazzati per le strade di Palermo, si giravano dall’altra parte facendo finta di non vedere mai nulla.
Il Giudice Falcone iniziò a morire quando il 21 giugno del 1989 alle 7.30, gli agenti di polizia addetti alla sua protezione trovarono 58 cartucce di esplosivo, di tipo Brixia B5, all’interno di un borsone sportivo, all’Addaura, in una villa che il magistrato e sua moglie avevano preso in affitto. Iniziò a morire perché, chi non era riuscito a fare esplodere quella bomba, aveva pensato bene di accreditare la voce che quella borsa esplosiva se la fosse messa lui. E quella voce circolava di bocca in bocca.
Falcone nel 1989 aveva 22 uomini di scorta, macchine blindate ed un elicottero che lo scortava. Il giorno della strage di Capaci i poliziotti addetti alla sua scorta erano stati dimezzati, fino ad arrivare ad 11, le macchine spesso non erano blindate e l’elicottero era solo un lontano ricordo.
Gli amici di Falcone fino a quel drammatico 23 maggio si contavano sulle punte delle dita di due mani (forse sono molto ottimista), subito dopo, invece, la schiera di coloro che si sperticarono in lacrime, strappandosi le vesti, fu infinita.
Gli stessi che, in 57 giorni, riuscirono a non proteggere Paolo Borsellino, obiettivo dichiarato dopo Falcone.
Oggi non esistono più nemici di Falcone. Non esistono.
Oggi esistono solo persone che fanno a gara per accreditarsi come i “suoi amici di una vita”.
Esistono le condanne per i mafiosi, ma non si sa chi avvertì che Falcone con sua moglie fosse partito alla volta di Palermo, chi fornì realmente supporto logistico al commando, manca la valigetta del Giudice ed i file dei suoi computer.
Oggi c’è chi si batte il petto, ma si accontenta di una verità di comodo.
Da quel 23 maggio del 1992 ad oggi sono passati 25 anni e nessuno ha chiesto scusa per quanto accaduto. Lo dobbiamo fare noi, come siciliani: ci scusi, dottor Falcone.
Ci scusi, ancora oggi non meritiamo la sua opera. La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Si, la mafia. Ma la cultura mafiosa che non riusciamo a scrollarci di dosso è ancora lontana da sconfiggere…