di Paolo Borrometi
“I mafiosi sono pupi. Fanno gli spavaldi solo con chi ha paura di loro, ma se si ha il coraggio di attaccarli e demolirli diventano vigliacchi. Non sono uomini d’onore ma pezze da piedi”.
Con queste parole, Serafina Battaglia, iniziò a collaborare il 30 gennaio del 1962, scavando un solco incredibile, fatto di coraggio e lucida rabbia per sete di Giustizia, con il mondo mafioso che l’aveva circondata.
Serafina aveva perso il marito, Stefano Leale, uomo di cosa nostra e, successivamente, il figlio. Furono barbaramente uccisi da quella cosa nostra che, ad Alcamo, era anche un po’ “cosa loro”.
A seguito di questi omicidi, Serafina Battaglia trovò il coraggio che la spinse a “vuotare il sacco”, nelle mani del Giudice Cesare Terranova, pur fra mille difficoltà come quella di trovare un avvocato disposto ad assisterla.
La sua scelta fu fortemente motivante, anche per altri testimoni di Giustizia.
Celebri le sue parole di incitamento alle donne dei mafiosi, a rompere il muro dell’omertà e denunciare, unica strada per sconfiggere il cancro mafioso: “Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo”.
Fu la prima donna contro la mafia, in molti processi la Giustizia ha potuto contare su di lei, cittadina coraggiosa e vera partigiana di una nuova resistenza.