“Ma tu che vuoi fare? Vuoi essere un giornalista? Oppure vuoi diventare un giornalista- giornalista? C’è una differenza, anche se non sembra: il giornalista si accontenta di quello che passa il convento e chiusa la sua pagina se ne va a casa sicuro che mai nulla di sconveniente potrà accadergli.
Il giornalista-giornalista invece non si accontenta mai della prima verità, non va a casa all’ora di cena e sa che in quella casa potrà un giorno non farvi più ritorno”. Per grandi linee è questo il discorso che Giancarlo Siani apprende dalla bocca del suo caporedattore pochi giorni dopo essere stato chiamato nella redazione centrale del quotidiano dopo aver fatto il corrispondente da Torre Annunziata.
Giancarlo venne assassinato poco tempo dopo. Lui, il discorso del suoi caporedattore, lo aveva capito benissimo. Anzi, aveva scelto ancora prima di sentire quelle parole. Voleva fare e fece il giornalista-giornalista sapendo perfettamente che un prezzo lo avrebbe comunque pagato e sarebbe stato di sicuro molto pesante: in termini di carriera o di libertà personale (vedi i cronisti arrestati solo per aver pubblicato notizie scomode come D’Avanzo, Bolzoni e Lodato) o addirittura mettendo a repentaglio la propria vita come è accaduto a lui e a tanti altri colleghi “scannati” dalle mafie.
E se per un istante rivolgiamo lo sguardo all’indietro, se scaviamo nella memoria, ci accorgiamo che tutti i cronisti assassinati da cosa nostra, tutti indistintamente, avevano scelto di fare i giornalisti-giornalisti. Da Mauro De Mauro (Palermo 1970) a Giovanni Spampinato (Ragusa 1972); da Mario Francese (Palermo 1979) a Giuseppe Fava (Catania 1984); da Mauro Rostagno (Valderice 1988) a Beppe Alfano (Barcellona Pozzo di Gotto 1993).
Il dato che accomuna i delitti dei cronisti siciliani è che si conosce solo un pezzo di verità sui reali moventi di quegli omicidi che spesso (vedi De Mauro ma anche francese, Rostagno e Alfano), forse perché sono molteplici, si sovrappongono l’uno all’altro finendo con il disperdersi in mille rivoli.
Veniamo da questa storia.
Ma prima di arrivare all’oggi per raccontarvi che intimidazioni, mancati scatti di carriera, censure, avvertimenti e “consigli” continuano inesorabilmente a colpire i giornalisti-giornalisti, quelli che del tornello se ne fottono e che semmai lo scavalcano per andare in onda o in pagina.
Prima di tutto questo, dicevo, va ricordato che nessuno di questi colleghi era ricco, nessuno aveva scelto di fare il cronista come status simbol. A Natale non ricevevano i pacchi dono dagli amici degli amici e se li ricevevano li rispedivano al mittente. E soprattutto erano anonimi. Anonimi cittadini mescolati tra la folla che assisteva ad un fatto che meritava di essere raccontato.
Nessuno di loro avrebbe mai detto di primo acchito a un carabiniere o a un poliziotto o al parente di un morto ammazzato “io sono il giornalista tal dei tali”, a quell’epoca sarebbe stato un errore da matita rossa.
Oggi invece le Tv fanno a gara a chi possiede il logo più grosso del Tg e i giornalisti più accorti hanno perfino la soneria del cellulare con la sigla del notiziario, giusto per mimetizzarsi per passare inosservati. Giornalismo di plastica che ha consentito a modesti uomini macchina dai curriculum discutibili di diventare vicedirettori o addirittura direttori di testate molto importanti con l’aiuto delle massonerie e degli ambienti politici e imprenditoriali. Senza che se ne ricordi uno scoop, un’inchiesta, un servizio ben confezionati.
Ma nonostante questa deriva indecente (sotto il profilo della purezza del mestiere e del merito) c’è ancora chi il lavoro, in Rai e fuori, continua a farlo sulla scia dei padri. Oggi Siani guadagnerebbe pochi euro ad articolo esattamente come accade a molti cronisti calabresi, campani e siciliani che non hanno un contratto a tempo indeterminato.
Sono loro oggi i nuovi De Mauro, Francese, Fava e Rostagno ma per fortuna sono ancora vivi e possono parlare, raccontare e denunciare. Vanno protetti. Sono nel mirino delle cosche del loro paese, della loro città, della loro regione. Sono anonimi e sono soli.
Rovesciando il titolo di un bellissimo libro di Garcia Marquez, sono giornalisti sconosciuti ma non sono felici.
Francesco Vitale, inviato TG2 Rai