Il 3 maggio è la giornata mondiale della libertà di informazione. Il giorno prima si commemoravano i morti sul lavoro (altro tema troppo spesso dimenticato dai media). Il calendario scandisce pressoché quotidianamente un anniversario, una ricorrenza. E la gran parte riguardano vittime di atti di terrorismo o di mafia, di diritti civili negati, di libertà non riconosciute. Le stragi (impunite), gli infortuni mortali (non risarciti), i giovani deceduti per le percosse (nelle carceri e nelle caserme), o i cronisti scomparsi…
Quanti interrogativi in questa giornata del 3 maggio:
– Perché negli ultimi venti anni sono stati uccisi nel mondo quasi 15 mila reporter (trentanove solo nel 2013)?
– Perché si deve pagare con la vita la ricerca della verità?
– E perché ci vogliono anni, talvolta decenni per conoscere i nomi degli esecutori materiali e dei mandanti?
Non sono da meno le domande da porre se restringiamo il campo allo stato di salute dell’informazione in Italia…
– Perché l’Italia deve continuare ad essere al 57° posto delle graduatorie internazionali sulla libertà di stampa e fanalino di cosa in Europa?
– Perché il conflitto di interessi è considerato ancora un tema tabù e non è presente nell’agenda del nuovo governo (nonostante sia stato ampiamente sbandierato in campagna elettorale)?
– Perché, come ha spesso ribadito lo stesso segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani non si riforma la Legge Gasparri sottraendo la Rai dal controllo e dal condizionamento di partiti, governi e lobbies per garantire autonomia e indipendenza del servizio pubblico?
– Perché nonostante sia stata approvata la legge sull’equo compenso i cronisti, specie al sud continuano a ricevere cifre da fame e senza alcun tipo di tutela?
– Perché non si interviene con una legge sulle “querele temerarie” per impedire ai potenti di turno di chiedere risarcimenti milionari ai giornalisti come forma di intimidazione preventiva per scoraggiarli a promuovere determinate inchieste?
– Perché il Parlamento non affronta il tema di una normativa sull’editoria e del finanziamento ai giornali combattendo le furbizie e gli sprechi ma evitando, come ha più volte ribadito lo stesso presidente della Repubblica, la chiusura di tante testate di interesse storico e culturale e la mortificazione del pluralismo dell’informazione?
– Perché l’informazione (soprattutto quella televisiva) deve essere infarcita dei delitti privati o del gossip sui vip ma non si può trovare spazio per le crisi dimenticate e i diritti umani negati in varie parti del mondo?
– Perché deve esistere un’associazione denominata Articolo21 – e tante altre organizzazioni che combattono la stessa battaglia – per difendere un diritto che, in quanto sancito dalla Costituzione, dovrebbe essere dato per acquisito?
Ci auguriamo che il 3 maggio 2014 non dovremo più porci qualcuna di queste domande…
Stefano Corradino, direttore Articolo21