di Franco Siddi, segretario Fnsi
Non solo ci sarò ma chiederò alla intera giunta Fnsi partecipare perché questa vertenza non riguarda solo la Rai ma chiunque creda nel servizio pubblico e nella necessità di un rafforzamento della sua autonomia editoriale, tecnica e finanziaria e di un recupero d’indipendenza dai giochi della politica. L’iniziativa lanciata dal segretario Usigrai Vittorio di Trapani per un’assemblea a Roma l’8 maggio prossimo “Rai 2016: non tagli ma riforme”, merita il pieno sostegno della categoria e dei cittadini che hanno a cuore il servizio pubblico dell’informazione, della cultura, dell’intrattenimento e della rappresentazione plurale della vita italiana.
L’8 maggio si riunirà la Giunta Esecutiva del sindacato unitario dei giornalisti italiani per affrontare l’emergenza lavoro e welfare, ma troveremo il modo di essere presenti, con spirito ed idee di condivisione con l’Usigrai e con le associazioni (come Articolo 21) da sempre in campo per la riforma della Rai, a partire dalla sua governance, e per una soluzione ai conflitti d’interesse. La sfida del rinnovamento e’ aperta da tempo. Ma, come la crisi dell’industria della carta stampata -ahinoi!- dimostra non si misura tracciando linee di taglio dei budget e dei costi. Occorre avere al centro una visione di cultura editoriale avanzata su cui innestare le scelte finanziarie e di rilancio.
Ecco perché, senza pregiudizi, occorre che tutti si pronuncino prima sulla Rai che vogliamo, sulla Rai che intendiamo cambiare e come, sul significato del servizio pubblico stesso. Di conseguenza la richiesta alla Rai di tagliare quest’anno 150 milioni di euro da parte del Governo deve far riflettere. Tagliare cosa e dove? E come e con quali conseguenze per la programmazione in corso, per il lavoro, per il valore dell’azienda rispetto alla concorrenza?Razionalizzare nella gestione dell’impresa, eliminare sprechi, correggere e curare di più le strumentazioni organizzative e’ sfida su cui chiamare tutte le parti in causa a dare il meglio. Lasciare diffondere l’idea, invece, che si possa tagliare sul radicamento territoriale del servizio pubblico no. Vendere edifici e trasferire sedi in immobili per avere minori costi e’ una cosa, chiudere sedi, redazioni, centri di produzione un’altra, non condivisibile, per esempio. Il provvedimento del Governo autorizza cessioni di quote di Rai Way, ribadisce che però le funzioni strategiche cui assolve sul campo delle frequenze, delle risorse e della capacità trasmissiva debbono restare sotto controllo pubblico,nsalvo diversa autorizzazione dello stesso Esecutivo, che si riserva una sorta di Gold Share. Non basta a rassicurare, non tanto “i soliti della Rai protetta” quanto tutti coloro che davvero considerano l’azienda patrimonio dello Stato, bene da rilanciare al servizio dei cittadini.
Ben venga, allora, la riapertura del dibattito pubblico sul tema e sull’intero sistema dell’audiovisivo proposto con una formula “senza barriere” dall’Usigrai. Il servizio pubblico radiotelevisivo deve diventare motore di fiducia nelle sfide per le trasformazioni in corso nel vasto mondo dei media e riferimento per una progettualità orientata allo sviluppo. Ecco perché ho detto e scritto più volte che la Rai e’ un servizio pubblico da valorizzare e da riconsiderare come bene dei cittadini italiani; non è un soprammobile di cui disfarsi.
La sfida principale è quella della riguarda nel segno della partecipazione e della liberazione dai controlli partitici, dai vincoli della legge Gasparri, dai conflitti d’interesse. Si apra il confronto per riformare davvero, per uscire dalle difficoltà cercando di avanzare finalmente su questo terreno, dando anche qui segni di cambiamento indispensabili che sul piano della gestione debbono diventare ancora più nitidi, come la fine di sprechi e appalti esterni. E sul piano politico si badi subito a una riforma chiara per tutti, nella modifica delle fonti di nomina degli amministratori, da sottrarre all’invadenza impropria dei partiti, e nella definizione della missione editoriale su cui poi misurare anche i dirigenti responsabili. Non vogliamo una Rai carrozzone, ma un servizio pubblico liberato che sia garanzia del pluralismo dell’informazione e dell’identità italiana.