di Domenico Affinito
Migliora l’indice di libertà di informazione in Italia e peggiora nel mondo. Questa è la fotografia che l’associazione francese Reporters sans Frontières fa nella sua annuale classifica pubblicata a pochi giorni dalla giornata mondiale Unesco per la libertà di stampa che sarà il 3 maggio.
Il nostro Paese passa dal 77esimo al 52esimo posto. La situazione viene definita «difficile» o «molto grave» in 72 paesi, fra cui Cina, Russia, India, quasi tutto il Medio Oriente, l’Asia centrale e l’America centrale, oltre che in due terzi dell’Africa. Ventuno i black countries in cui la libertà di espressione è quasi nulla come Iran, Sudan, Libia, Egitto, Siria e Arabia Saudita. Ultima, come negli ultimi anni, la Corea del Nord (180esima), preceduta da Turkmenistan ed Eritrea. Molta attenzione desta la situazione in Turchia (155esima) dove è evidente la stretta imposta dal presidente Erdogan e dal suo entourage alla libertà di informazione. «Nel Paese – scrive Rsf – si vive in una spirale repressiva senza precedenti in nome della lotta contro il terrorismo. Lo stato di emergenza consente alle autorità di liquidare il tratto di penna decine di mezzi di comunicazione, riducendo il pluralismo in pochi giornali a scarsa circolazione. Decine di giornalisti sono arrestati senza processo, rendendo la Turchia la più grande prigione al mondo per i professionisti dei media”.
Critiche anche ad alcune prese di posizione antistampa del muscoloso presidente statunitense Donald Trump, alla Polonia di Jaroslaw Kaczynski che ha cercato di zittire numerosi organi di stampa indipendenti critici sulle sue riforme e all’Ungheria di Viktor Orbán.
In testa alla classifica, come sempre, i paesi del Nord Europa, ma la Finlandia cede il primo posto che deteneva da 6 anni alla Norvegia, a causa di «pressioni politiche e conflitti d’interesse».
Rispetto al nostro Paese Rsf denuncia, comunque, la non risoluzione di alcuni problemi ormai storici. Come quello delle «intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e minacce» ai giornalisti. Uno sport ben praticato, a diversa intensità, in Italia. Dagli ultras, dalla politica e, ancor più grave per gli esiti, da gruppi mafiosi e organizzazioni criminali. L’Italia rimane l’unico paese europeo nel quale alcuni cronisti devono ricorrere alla scorta. Rsf parla di sei giornalisti, ma non cita la fonte dell’informazione. I numeri in realtànon sono noti in quanto il Dipartimento di Pubblica Sicurezza non li comunica, anche se vi sono stime che parlano di una decina di casi. Sarebbe opportuno, invece, conoscere i numeri e anche i casi per verificare se effettivamente la scorta sia stata concessa per motivi inerenti alla professione. I casi pubblicamente noti oggi sono quelli di Rosaria Capacchione, Roberto Saviano, Giovanni Tizian, Paolo Borrometi, Michele Albanese, Sandro Ruotolo, Lirio Abbate, Federica Angeli, Marilù Mastrogiovanni, Amalia De Simone, Ester Castano, Marilena Natale, Nello Trocchia. Tredici totali, quindi. Risulterebbe ancora sotto scorta, dopo alcune minacce nel 2010, anche Renato Farina.
Il miglioramento della posizione italiana dal 77esimo al 52esimo posto è motivato dall’associazione francese sostanzialmente per l’assoluzione di alcuni giornalisti dalle cause che li vedevano coinvolti. Rsf, però, cade in errore citando i casi di Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi finiti sotto processo per il caso Vaticanleaks, lo scandalo riguardante la fuga di informazioni riservate in merito al Vaticano. Tale processo, infatti, era stato intentato dal Tribunale della Città del Vaticano, la cui magistratura è chiaramente indipendente da quella italiana, essendo il Vaticano uno stato estero. Possiamo a buon titolo dire, quindi, che il 77esimo posto dello scorso anno, motivato soprattutto dal caso Vatileaks, è stato di fatto un errore di valutazione dell’associazione francese, anche se non deve consolarci il 52esimo posto, tra i peggiori all’interno dell’Unione Europea.
I grandi mali dell’Italia, in tema di libertà di stampa, infatti rimangono. Rsf punta il dito verso alcuni politici, citando Beppe Grillo, che non esitano a comunicare pubblicamente nomi e cognomi i giornalisti a loro non graditi. Il leader del Movimento 5 Stelle ha prima risposto via twitter «Oggi ho scoperto di essere io la causa del problema di libertà di stampa in Italia» e poi sul blog ha scritto «Se i Tg e i giornali non vi danno le notizie o vi danno notizie false o vi danno notizie non verificate è perché hanno paura di me. Reporter Senza Frontiere dice che diffondo “l’identità” dei “giornalisti sgraditi”. Forse non sono stati informati bene dai direttori dei giornali italiani che li hanno contattati per cambiare la classifica (vi hanno contattato, vero?). Non viene pubblicata l’identità dei giornalisti sgraditi, viene smentita la balla che diffondono o viene risposto alle loro offese gratuite. La colpa di questo sistema informativo marcio è mia. In un Paese in cui un ex premier condannato tiene in mano tre televisioni da oltre 20 anni, dove molti giornali nazionali sono amministrati da editori impuri iscritti a partiti politici o, peggio ancora, dove alcuni quotidiani sono persino proprietà diretta di partiti politici, il problema sono io, che scrivo su un blog. Ma… sarà». Di sicuro quello di criticare e anche attaccare i giornalisti è un altro sport ben praticato nel Paese, soprattutto dalla politica che da sempre, almeno nella storia repubblicana, mette le mani e spesso anche i piedi nel mondo dell’informazione.
Il rapporto di Rsf non ne parla, ma l’Italia è l’unico Paese europeo nel quale le querele temerarie sono usate come un’arma nei confronti dei reporter e delle loro inchieste. Su questo pesa anche un quadro normativo non del tutto garantista che non prevede “sanzioni” particolari per chi chiede l’intervento della magistratura in maniera del tutto strumentale. Come non bisogna nascondere uno dei mali maggiori del nostro giornalismo: l’autocensura. Secondo Rsf viene praticata dai colleghi «sotto la pressione dei politici», ma a onor del vero viene spesso praticata da alcuni colleghi per piaggeria nei confronti della politica. Un atteggiamento che peggiora la qualità del nostro giornalismo e che impatta anche sull’indice della libertà di stampa del nostro Paese.