di Paolo Maggioni
Mi viene in mente l’inizio di quella meravigliosa canzone di Ivano Fossati: “Per niente facili, uomini sempre poco allineati”. Perché ai miei occhi, Gianni, non sei mai stato né semplice, né tantomeno allineato. Anzi, mettevi perfino un po’ di soggezione.
A diciannove come a trentacinque anni, la stessa. Ma non hai mai negato un’intervista, un incontro, una critica (tante), una carezza (il giusto).
Sei stato, semplicemente, il migliore di tutti noi. Uno di quelli che riconosci per la penna, e non perché c’è il nome scritto grande e grosso in testa all’articolo. Uno che, usando una tua metafora, sfornava pezzi da chef a ritmo da pizzeria. Grazie per aver difeso il tuo tempo in un mondo che stava cambiando.
Grazie per aver raccontato, con la stessa dignità, brigate di grandi stellati e di semplici osterie. Grazie per aver reso la narrazione del vino davvero potabile. Grazie per aver sempre setacciato il volto umano del pallone, e per aver sgonfiato tanti palloni gonfiati. Non dimenticherò le volte in cui sono passato a trovarti al giornale. Non fumavo, ma vederti raccontare dietro la nube della tua ventiseiesima sigaretta aveva molto di rassicurante.
E’ stato un piacere ascoltarti. Come quella volta che parlando di ciclismo mi dicesti che la cosa più bella non è la vittoria, o la salita. La cosa più bella è quando il corridore stacca tutti e se ne va via, in fuga. Cercherò di tenerlo a mente sempre, non solo guardando le corse. Come amavi chiudere i tuoi pezzo, caro Gianni, sia lieve la terra. E grazie
#GianniMura