di Nico Piro
Quella del 16 agosto 2018 è una data che resterà nella storia dell’informazione nel Paese che ne ha sempre fatto una pietra angolare del proprio edificio culturale e persino normativo, della propria identità.
Un numero imprecisato di testate statunitensi – nell’ordine delle centinaia – pubblicherà lo stesso editoriale, un testo che ricorda il ruolo della libera stampa e della libertà di stampa nella storia americana.
È la risposta del giornalismo americano al sistematico attacco del presidente Trump. L’inquilino della Casa Bianca ha sempre evitato di rispondere nel merito delle accuse mossegli dalla stampa, tra inchieste ed editoriali, ha invece preferito far leva sulla parola d’ordine “fake news”, screditando il sistema dei media descritto come corrotto e al servizio di elite anti-americane. Nelle ultime settimane, all’incalzare delle rivelazioni sull’inchiesta Russiagate, Trump ha risposto con un’escalation, fino a definire i media come “nemici del popolo”.
L’editoriale unico – diremmo quasi a prime pagine unificate – è una risposta senza precedenti perché, per quanto non cambierà la retorica del presidente, segna una svolta.
In un’America mai divisa come oggi, si uniscono giornali assolutamente diversi – spesso in concorrenza – che parlano a pezzi di territorio altrettanto eterogenei: dalla colta ed “europea” Boston alla rust belt della decadenza industriale americana, passando per le aree rurali del midwest fino alla lontana West Coast.
Questo perché in un sistema poco leggificato (gli esperti di diritto mi perdoneranno per la semplificazione) è proprio la stampa a far parte, de facto, dell’apparato dei controlli e dell’accountability della politica, indebolirla significa minare l’edificio costituzionale.
È un modello di protesta, quello che la stampa americana, mostra al mondo. Verrà adottato anche in altri Paesi, dove l’attacco alla stampa avanza per simmetria trumpiana? E l’informazione italiana come valuterà questa occasione di difesa del proprio ruolo sociale e di garanzia democratica?