di Luca Baldazzi
Di proroga in proroga, con il Milleproroghe il rinnovo della Concessione Rai è slittato al 30 di aprile: a quasi un anno dalla sua originaria scadenza del 6 maggio 2016. Dodici mesi di ritardi e rimpalli durante i quali il dibattito che accompagna questo importante passaggio è rimasto, nel complesso, limitato ad alcuni cenacoli che discettano in perfetta buona fede, ma consapevoli che le loro riflessioni sono destinate a produrre solo topolini. Perfino le consultazioni già avviate dal Servizio Pubblico, il “CambieRai” telematico organizzato la scorsa primavera con le sue indicazioni arrivate dai 9.158 questionari compilati in 45 giorni ha, per molti aspetti, marcato problematiche già note: la necessità di abbattere il digital divide, la colonizzazione degli OTT, il ruolo da intermediaria che la Rai può avere tra la pubblica amministrazione ed il suo pubblico.
Inadempienze ormai chiare agli spettatori Rai, che nel complesso non ritengono che il Servizio Pubblico svolga la sua funzione, come si evince dalla tabella seguente attinta dal rapporto sugli esiti dell’iniziativa CambieRai.
A questa lettura assai poco lusinghiera dell’impegno che c’è e resta dietro la programmazione Rai si può ovviare, a nostro avviso, ripartendo proprio dai principi che contraddistinguono il Servizio Pubblico dalla concorrenza privata, dichiarando una chiara mission che ne investa, per alcuni anni, l’intera programmazione. Iniziative in tal senso , rivolte all’allora appuntamento di maggio, avevano raccolto un discreto successo, palesando il generale consenso verso una riforma che coinvolgesse la platea più vasta possibile. Sfortunatamente, l’azione non è seguita ai buoni propositi.
Il giorno 11 gennaio il sottosegretario Giacomelli in audizione alla Commissione Parlamentare di Vigilanza ha assicurato che il Governo manderà il testo della Concessione entro febbraio; sarà un’offerta “last minute”, del tipo “prendere o prendere”. Poco altro è stato chiarito.
“Dicunt” che la Concessione sarà snella, con allegata una più robusta Convenzione (che sembrava scomparsa con la legge Gasparri). Dimenticavamo: il piano Verdelli – così come prima il piano Gubitosi – non esiste più, colpito e affondato a latere del Cda informale del 3 gennaio che ha coinciso con le dimissioni del Direttore dell’Offerta Editoriale. Quello che era il “suo” piano lo conosciamo “in reverse”: niente accorpamento di testate, niente Tg2 trasferito a Milano, niente Tg Sud. L’unico elemento residuo di un progetto che nessuno, a partire dal sindacato, ha mai ufficialmente conosciuto, sarebbe la produzione di una allnews in lingua estera.
Che le prossime 8/12 settimane possano conoscere un revamp di pubblico dibattito e di confronto che, con i continui rinvii, si è diradato lasciando la palla nel campo dei “tecnici”, non sembra quasi possibile. Ciononostante non sarebbe inutile, per i “tecnici”, sfogliare nelle prossime settimane il nuovo testo della Royal Charter e del Framework Agreement, l’equivalente britannico della Con-cessione tra BBC e Stato. Si tratta di 108 pagine ben scritte che possono offrire alla direzione Rai, alla Commissione Parlamentare, al Governo e agli operatori della comunicazione buoni modelli con cui confrontarsi.
Il dibattito sul rinnovo della Concessione britannica è stato, come sempre avviene, assai approfondito e ha chiamato in causa esperti e professionalità interne ed esterne alla BBC. Un ruolo fonda-mentale è stato svolto proprio da un tecnico “esterno”, Sir David Clementi, proveniente dalla Bank of England che con largo anticipo (marzo 2016) ha prodotto una relazione commissionata dal Mi-nistero. E’ stato proprio seguendo le indicazioni di questo rapporto che il governo ha scelto di mo-dificare la governance della BBC eliminando l’organo del Trust, che nello spirito della precedente Concessione (2007) rappresentava egregiamente gli abbonati. Dall’aprile di quest’anno la BBC torna ad avere un unico Board, e come tutte le imprese di comunicazione risponderà all’Ofcom, l’Autorità per le comunicazioni del Regno Unito.
Qualche colpetto “ideologico” il più antico e rispettato Servizio Pubblico radiotelevisivo – reduce da 16 anni di governo laburista – lo ha certamente subito, ma lo spirito dei tories non ha fatto particolari danni. Se dopo l’arrivo di Cameron (2010) non sono mancati attacchi al canone come elemento essenziale del finanziamento della BBC, alla resa dei conti per il prossimo decennio il Servizio Pubblico britannico potrà contare sulla conferma dell’importo delle attuali 145 sterline annue (circa 167 euro), addirittura con una pianificazione quinquennale, la qual cosa assicura un quadro certo di risorse sulla cui base pianificare l’azienda, al riparo dal rischio di un governo che apra e chiuda i rubinetti, minandone l’autonomia. Su questo fronte, guardando alla Rai, se sul piano dell’evasione il Servizio Pubblico ha raggiunto, grazie al canone in bolletta, tassi analoghi a quelli della BBC, il Servizio Britannico dispone di quasi quattro volte le risorse della Rai dal solo canone, 3 se si ag-giungono i 680 milioni di euro di introiti pubblicitari previsti quest’anno.
Venendo alle “novità” di questa concessione, l’indirizzo che la politica, il governo e il Parlamento hanno voluto dare alla BBC con l’ultimo rinnovo della Royal Charter è quello di presidiare come Campione Nazionale l’area dell’information tecnology e della comunicazione digitale contrastando il ruolo sempre più onnivoro degli Over The Top. Nella tempesta che sta scuotendo il mondo dei media non ci si può cullare sugli allori, e non basta che una grande azienda di comunicazione esponga le proprie medaglie. Si deve sperimentare, competere, innovare per non essere sommersi dalla polvere che si accumula con una velocità sconosciuta solo un decennio fa.
A tal fine, per assicurare che la BBC si sviluppi in armonia con il resto del mercato, la nuova Board dovrà sottoporre all’Ofcom di volta in volta tutti i cambiamenti rilevanti (material) che riterrà neces-sari in questa tempesta, per svolgere al meglio la sua missione di servizio pubblico con le risorse del canone assegnate. L’Ofcom potrà non accettare tali cambiamenti se ravviserà, sulla base di un test strutturato, un indebolimento del ruolo di servizio pubblico, o uno sforamento di questo a danno della concorrenza. Sotto questo vincolo la nuova BBC conquista, tuttavia, una maggiore libertà nello svolgere sia all’estero che in ambito domestico nuove attività profittevoli.
E’ il caso di BBC Studioworks, nata a maggio 2016, è una controllata che produrrà film, serie tv, documentari per emittenti nazionali e estere, pubbliche e private. Studioworks agisce con le stesse regole degli agguerriti concorrenti americani e britannici, e quindi non risente dei tetti, come quello degli stipendi, cui è vincolata la BBC. Il Servizio Britannico può produrre, insomma, contenuti non propriamente di servizio pubblico, ma che abbiano comunque l’obiettivo di rafforzare la creatività nazionale e/o di farla conoscere nel mondo.
Da ultimo ci sembra interessante segnalare un sensibile shift che si è realizzato nella filosofia produttiva della BBC nel comparto World, ovvero nelle produzioni non domestiche. Prima ancora del rinnovo della Royal Charter, e precisamente dalla primavera del 2014, per la prima volta una quota del canone pari circa al 6% (245 milioni di sterline) è stata indirizzata a BBC WORLD, ovvero alle produzioni per l’estero e in lingua estera che fin ad allora erano state totalmente finanziate da ricavi commerciali. BBC WORLD aveva realmente bisogno di questo contributo pubblico? Probabilmente no, visto che i suoi ricavi da vendite e pubblicità superano abbondantemente il miliardo di sterline, con un margine di profitto intorno all’11%. Perché, allora, questa “contaminazione”?
La risposta va cercata nella consapevolezza che il mondo politico ed il sistema britannico hanno di ciò che va sotto il nome di “soft power”. Le produzioni per l’estero della BBC sono certamente una vetrina privilegiata dell’immagine che la Gran Bretagna vuole dare di se stessa e della lettura “bri-tannica” degli scenari mondiali. Ciò non sfugge alla politica che, paradossalmente, può risultare più interessata alla “linea editoriale” della BBC nel contesto globalizzato che in quello domestico. Ma un’azienda pubblica che opera nel comprato world come puro soggetto privato, difficilmente po-trebbe essere oggetto di pressioni e/o di indirizzi partoriti in abito istituzionale e/o governativo.
Da qui l’idea di “vincolare” con un chip l’autonoma attività di BBC WORLD in maniera da poter esprimere indirizzi e specifiche richieste. Che questa non sia un’interpretazione viziata da dietrologia, lo dimostra una recente affermazione dell’attuale direttore della BBC Tony Hall: “Mi impegno a mettere alla prova la BBC perché possa fare ancor di più per la Gran Bretagna nel mondo post-Brexit e divenga una risorsa ancora più importante a livello nazionale e globale in un momento tanto critico per la storia del Paese”.
Tornando all’Italia, e alla nostra “concessione last-minute”, ci colleghiamo a quanto appena detto su BBC WORLD per riprendere l’accenno al progetto di una allnews in inglese, che rappresenta uno dei pochi elementi rimasti al loro posto dell’originario piano Verdelli, e che aveva incontrato l’assenso anche degli aderenti al questionario CambieRai, come il grafico evince.
Parlare di softpower italiano incarnato dalla proiezione estera della Rai può suonare al momento fantascienza, dato che l’Italia è l’unico paese del G8 a non essersi dotato di una rete in lingua estera. Ma questo può e deve cambiare, e considerato l’esempio offerto dalla BBC, sarebbe il caso di avvalora uno dei pochi punti su cui sia i “molti” che i tecnici concordano.
Lo sviluppo di una rete allnews in lingua straniera, capace di avvantaggiarsi delle professionalità e delle strutture già esistenti in Rai, comporterebbe tra l’altro, come stimato in un precedente articolo, investimenti modesti rispetto ai vantaggi che nel medio-lungo periodo ne gioverebbe il Servizio Pubblico, sia in termini di spettatori che, soprattutto, di innovazione e reattività.
Non sarebbe quindi inutile, nelle prossime settimane, che le energie professionali, interne e ed esterne alla Rai, si mobilitassero e si esprimessero per riempire di contenuti questo aspetto del rinnovo della concessione, che altrimenti rischia di restare una vuota affermazione di principio.