“La Rai mantenga gli impegni assunti in occasione dello scorso 25 novembre – giornata internazionale contro la violenza sulle donne – e imprima su questo tema un salto di qualità in tutti i programmi e in ogni spazio informativo.”
La cronaca, anche quella giudiziaria, non è neutrale. Il modo di raccontarla ha effetti importanti sulla vita sociale e culturale di un paese. Soprattutto se a raccontarla è il servizio pubblico in uno dei suoi programmi più seguiti. Come dimostrano una volta di più le polemiche sull’ultima puntata di Storie maledette, in cui l’autrice e conduttrice Franca Leosini ha narrato la delicata vicenda di Sonia Bracciale, accusata di essere la mandante dell’uccisione del marito denunciato per maltrattamenti.
A fare scalpore, i passaggi in cui la conduttrice si rivolge a Sonia Bracciale e le dice che “è colpa sua se le ha rotto il naso, come di tutte le donne che non lasciano i mariti violenti”, e ancora “se la massacrava di botte qualche colpa l’aveva”.
Leosini ha chiarito, in una successiva intervista a Maria Corbi sulla Stampa, che non intendeva dire che la responsabilità della violenza subita è delle donne. Ha spiegato che quelle frasi non andavano prese alla lettera, che erano da considerare un consiglio più che un rimprovero e che erano state utilizzate in un “contesto colloquiale”. Infine ha ricordato le sue battaglie, anche personali, e ha aggiunto di essere sempre stata dalla parte delle donne.
Tutto chiarito, dunque? Purtroppo no. Perché resta un modo di raccontare che, per l’appunto, può essere troppo facilmente frainteso e ferisce non soltanto le donne che vivono situazioni di violenza, ma tutte coloro che si impegnano quotidianamente per contrastare il fenomeno.
Resta un linguaggio pieno di stereotipi, svilente dell’immagine delle donne, in netto contrasto con quanto previsto dal contratto di servizio. E dispiace che a utilizzarlo sia una conduttrice che è sempre stata dalla parte delle donne. Il fatto è che non bastano i buoni propositi, quando si conduce un programma del servizio pubblico. Servono rigore e rispetto delle regole.
Come giornaliste e giornalisti della Rai Servizio pubblico, ci sentiamo parte in causa. Visto che nel nostro contratto è stato inserito il Manifesto di Venezia che indica in modo chiaro come raccontare in modo corretto la violenza contro le donne.
Chiediamo che l’Azienda tenga fede a quanto i suoi vertici hanno affermato nella giornata del 25 novembre, impegnandosi nel contrasto alla violenza di genere davanti alla platea dei e delle dipendenti. Parole che abbiamo molto apprezzato. Purché non restino soltanto parole.
Cpo Usigrai