di Fabrizio Feo
Non serve molto. Basta mettere in fila i fatti, e soprattutto le date. Giuseppe Fava fu ucciso la sera del 5 gennaio 1984, e così, quella sera, cominciò un biennio orribile, presero il via agguati e intimidazioni anche contro i giornalisti: omicidi eseguiti da mafia e trafficanti, esecutori di condanne a morte firmate anche da politici e imprenditori, figure rimaste nell’ombra o solo sfiorate da sospetti, che volevano sbarazzarsi di cronisti che rappresentavano pericolosi intralci per interessi inconfessabili.
Pippo Fava, inviato speciale per riviste come Tempo illustrato e La domenica del Corriere, capocronista del quotidiano Espresso sera, aveva collaborato per molti anni al quotidiano catanese La Sicilia. Ma Fava non era solo un giornalista: drammaturgo, romanziere, autore di libri – inchiesta, nel 1975 aveva ottenuto un grande successo con il suo romanzo ‘ Gente di rispetto ‘. Nel 1977 aveva pubblicato un altro grande romanzo ‘Prima che vi uccidano’. Infine nel 1983 ‘L’ultima violenza’ a giudizio di tanti il suo capolavoro. E però prima che un giornalista, un drammaturgo Fava era un cittadino innamorato della sua terra, con un profondo senso di giustizia, incapace di rimanere immobile, di vederla sfruttata, calpestata, occupata e svenduta da mafia e malaffare.
Così, un anno prima di morire fondò a Catania il giornale “i Siciliani” (con colleghi allora giovanissimi, il figlio Claudio, Riccardo Orioles , Antonio Roccuzzo e Miki Gambino): si aprì una stagione di inchieste sui rapporti tra mafia, affari e politica. Trascorsero mesi intensi destinati a lasciare una traccia importante , ad indicare una strada a generazioni di giornalisti siciliani e non solo .
Il ‘pentito’ Maurizio Avola, reo confesso di avere preso parte al delitto – condannato, con il patteggiamento, a nove anni di reclusione- ha reso dichiarazioni fondamentali per ricostruire il delitto e il contesto nel quale era maturato : in particolare, ascoltato nell’udienza del 28 novembre del 1996 in Corte d’ Assise a Catania nel processo ”Orsa Maggiore 3” ha rivelato che l’ uccisione di Giuseppe Fava era stata decisa dal clan Santapaola per ”fare un favore ai cavalieri del lavoro costruttori di Catania e al boss palermitano Luciano Liggio”.
Mafia e camorra hanno ucciso altri giornalisti, prima e dopo Pippo Fava. Ma con l’agguato a Pippo Fava cominciò una sequela di azioni contro i giornalisti , probabilmente frutto di un momento storico particolare.
Deciso dalla mafia siciliana sul finire dell’84 anche l’assassinio di Giuseppe Joe Marrazzo: Marrazzo sfuggito alla morte altre volte per la sua estrema mobilità, da ultimo sfuggì all’esecuzione, come racconterà il boss pentito Giovanni Brusca (udienza processo Pecorelli del 5 maggio 1998), solo perché morì prima dell’agguato, per un male incurabile, a febbraio del 1985. A settembre dell’85 viene ucciso Giancarlo Siani.
Ma non ci sono solo le “condanne a morte” eseguite. Sono molte di più quelle ordinate e sventate da polizia e carabinieri, o fallite per un imprevisto. Storie di cui nulla si è saputo. E, appunto, a ragionarci su, ad andare indietro negli anni, a quegli anni, con la memoria, pensando anche a minacce, attentati intimidazioni più o meno esplicite , quello che accade tra l’84 e l’85 assume le cadenze di una vera e propria campagna.
Che colpisce spesso figure precise: quello che qualcuno, non proprio benevolmente definì “giornalismo militante”, il giornalismo che ,dopo aver scelto la trincea, aveva deciso di avanzare, di mettersi al servizio di un Paese segnato da terrorismo di sinistra – che pure colpiva i giornalisti – ma soprattutto da stragi delitti, trame occulte e misteri.
Un giornalismo fatto a mani nude, quasi sempre in condizioni di isolamento, con colleghi che spesso ti chiedevano chi te lo fa fare, che con te non andavano a prendere nemmeno un caffè, spesso per paura di morire con te…
Giornalisti che andavano avanti comunque senza chiedersi dove il cammino li avrebbe portati, ma sapendo perfettamente perché e “per chi” si provava a farlo. Sapendo perfettamente che poteva costare cara. Lo sapevano certamente giornalisti come Fava e Marrazzo. Ma anche Siani .
Risuona drammaticamente profetica una frase di Fava: “Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…”.