Presidente, Commissarie, Commissari,
innanzitutto un ringraziamento per questa occasione di ascolto su un tema delicato e complesso che non riguarda solo le giornaliste e i giornalisti della Rai, né soltanto il settore informativo. Quando si parla di Servizio Pubblico si tocca un tema che riguarda l’intero sistema Paese e uno dei pilastri delle democrazie europee.
Per questo motivo abbiamo scelto di essere auditi congiuntamente Fnsi e Usigrai. Di fronte a questi temi, il sindacato delle giornaliste e dei giornalisti è unito e compatto.
Riteniamo assolutamente positivo, e di questo va riconosciuto il merito all’attuale governo, che si sia finalmente tornati a parlare in concreto di riforma della Rai. E’ una emergenza che noi denunciamo da almeno 11 anni: la necessità di una nuova normativa che definitivamente rompa il controllo sulla Rai dei partiti, ma anche dei governi.
Questa è una urgenza assoluta, rispetto alla quale non ci deve essere alcun rallentamento.
Nello spirito riformatore che anima i gruppi dirigenti di Fnsi e Usigrai proveremo a essere concreti e propositivi.
In premessa specifichiamo che, in linea con tutte le indicazioni europee, non parleremo più di Servizio Pubblico radiotelevisivo, ma di Media di Servizio Pubblico, per rimarcare la trasformazione necessaria nell’era del multipiattaforma e della crossmedialità.
E’ proprio questo uno dei nodi fondamentali. La discussione sul futuro della Rai Servizio Pubblico è nata con un vistoso ribaltamento delle priorità e dell’ordine logico.
Da mesi si parla di riorganizzazione della Rai. Non ci dilunghiamo su questo visto che non è oggetto dell’audizione, e rinviamo a quanto abbiamo avuto la possibilità di dire più volte in Commissione Parlamentare di Vigilanza.
Oggi si parla di riforma delle fonti di nomina dei vertici di Viale Mazzini.
Ma tutto ciò viene fatto senza che sia stato sciolto il nodo fondamentale, che è premessa di tutti questi discorsi: ovvero quale deve essere la missione del Servizio Pubblico in Italia? Su questa domanda in numerosi Paesi europei, Gran Bretagna in testa, si discute per 3 anni, coinvolgendo innanzitutto i veri proprietari del Servizio Pubblico, i cittadini.
Fino ad oggi in Italia il dibattito è stato sostanzialmente assente.
Ripartiamo da alcune dichiarazioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Vogliamo rottamare i partiti dalla Rai”, “Vogliamo prenderla, eliminare gli sprechi, e restituirla ai cittadini che sono i veri titolari del servizio pubblico”, “la nostra scommessa è fare della Rai l’azienda più innovativa d’Europa per offerta culturale”, “vogliamo che possa competere nello scenario europeo con sempre più forza”.
Sono obiettivi nei quali abbiamo creduto, e crediamo tuttora. Ma ora vanno resi sostanza.
Liberare la Rai dai partiti, ma anche dai governi, e restituirla ai cittadini vuol dire assicurarle autonomia e indipendenza.
Come si legge nella raccomandazione approvata il 15 febbraio 2012 dal Consiglio d’Europa, “senza una indipendenza dimostrabile, dal governo così come da altri interessi o istituzioni, il Servizio Pubblico non può sostenere la propria credibilità e perde il sostegno popolare”.
Nel documento predisposto dalla Ebu, l’associazione dei Media di Servizio Pubblico europei, si dice con chiarezza che “i fattori che mettono l’indipendenza a rischio e che dunque devono essere evitati” sono, tra gli altri, “la politicizzazione delle nomine” e “la mancanza di finanziamenti stabili”.
Secondo Ebu un finanziamento certo, adeguato e di lungo periodo, è “prerequisito essenziale per l’indipendenza del Servizio Pubblico”.
Una tesi confermata anche dall’agenzia Moody’s, nella recente relazione con la quale ha assegnato il rating alla Rai in vista dell’emissione di bond. Partendo da valutazioni economiche, Moody’s sottolinea che la classificazione riflette “l’alta dipendenza della Rai dal potere politico”, e dunque un’eventuale riduzione della valutazione di affidabilità dell’Italia potrebbe portare “immediatamente” a una riduzione di quello della Rai. Lo stesso potrebbe accadere nel caso di una “ulteriore azione del governo per appropriarsi di parte del canone, oltre al taglio del 5% già pianificato”. Dunque anche da Moody’s una chiara indicazione su controllo politico e fonte di finanziamento.
Per poter centrare l’obiettivo di competere in Europa, innanzitutto bisogna ridurre il gap tra noi e gli altri Paesi europei in termini di libertà di stampa: oggi l’Italia è al 73esimo posto, ben lontana dagli altri Paesi. Tra le motivazioni proprio il controllo del potere politico nelle fonti di nomina del Servizio Pubblico e delle Authority.
La sfida sul diventare l’azienda più innovativa d’Europa per offerta culturale è appassionante e strategica. Sempre secondo il Consiglio d’Europa, è necessario definire in maniera chiara “gli obiettivi dell’intervento pubblico (…) compreso l’inequivocabile sostegno ai principi della libertà di espressione e del giornalismo di inchiesta”.
E allora andrebbe invertito l’ordine della discussione: prima si definisce la missione di Servizio Pubblico, di conseguenza i finanziamenti necessari e la governance adatta, e infine si riorganizza l’azienda.
Sarebbe un gesto di grande valore se il Parlamento tenesse una seduta dedicata alla definizione della missione del Servizio Pubblico. Potrebbe essere l’occasione di un dibattito pubblico, aperto ai contributi di cittadini, associazioni, realtà sociali che in questi anni hanno mostrato impegno sui temi dell’articolo 21 della Costituzione, sul pluralismo, l’indipendenza e l’autonomia dell’informazione, sui conflitti di interessi.
Entriamo dunque nel merito del Ddl 1880, oggetto della discussione di questa Commissione.
Per praticità, e per essere concreti, ne faremo un esame seguendo l’ordine dell’articolato.
All’art.1 comma a) si prevede l’allungamento del Contratto di Servizio da 3 a 5 anni. Ipotesi positiva, se si sana però una delle lacune principali dei precedenti Contratti: a fronte di prestazioni della Rai, non c’era alcuna garanzia della controprestazione, ovvero del finanziamento. Da anni infatti l’evasione viaggia intorno ai 550 milioni di euro l’anno. E di conseguenza il canone copre solo il 70% dei costi sostenuti dalla Rai derivanti dagli oneri di Servizio Pubblico.
Il Ddl inoltre non approfitta per sciogliere il nodo del rinnovo della Concessione. Cosa vuol dire questo? Che verrà fatto attraverso un successivo atto normativo o si ritiene assorbito nel Contratto di Servizio allungato a 5 anni? Se così fosse sarebbe grave e pericoloso perché determinerebbe una incertezza che minerebbe il Servizio Pubblico.
A proposito del Contratto di Servizio, all’art.1 comma g) si stabilisce che le linee guida non sono più definite dall’Agcom, ma dal Consiglio dei Ministri, che solo successivamente si confronta con l’Autorità. Un rafforzamento del ruolo del governo nella definizione della missione, e quindi del perimetro, del Servizio Pubblico.
Questo rafforzamento è ancor più evidente nella definizione delle fonti di nomina, art.2. Nella legge attualmente in vigore, che riteniamo indispensabile cambiare radicalmente, il governo indica circa il 20% del Consiglio di Amministrazione, che ora passa da 9 a 7 membri. Con il Ddl 1880 il controllo sale a quasi 1 componente su 3 del CdA.
In merito ai 4 componenti scelti dal Parlamento, facciamo notare che il combinato disposto del metodo di voto (una preferenza, e per di più senza maggioranza qualificata) con la nuova legge elettorale, rischia di far ricadere la gran parte, se non la totalità, dei componenti sotto il controllo della maggioranza parlamentare.
Parte importante di questa stortura deriva dal problema irrisolto della proprietà della Rai: le azioni sono nelle mani del governo, attraverso il Ministero dell’Economia. Su questo negli anni si sono avanzate varie ipotesi. A titolo di esempio, nel 2007 il Ddl dell’allora ministro Paolo Gentiloni trasferiva la proprietà a una Fondazione per creare un filtro tra governo e Rai.
Positiva invece la novità del componente indicato dai dipendenti Rai, che non necessariamente dovrà essere un dipendente. Norma che dà attuazione all’art.46 della Costituzione. Previsione che ci trova soddisfatti anche se non influisce sostanzialmente sul nostro giudizio complessivo sul disegno di legge in esame di questa commissione. E’ necessario però fornire una indicazione chiara e inequivocabile per stabilire chi, come e in quali tempi deve definire il regolamento elettorale, che non potrà ovviamente essere legato a logiche corporative, ma che anzi deve avere i requisiti dell’universalità e della segretezza: ovvero tutti i dipendenti dovranno essere chiamati al voto e con modalità che assicurino che sia espresso in assoluta libertà.
A proposito delle fonti di nomina, ci sono altre criticità:
- Il Ddl non modifica in alcun modo i requisiti per i componenti del CdA. Vanno invece resi più stringenti, indicando con chiarezza competenze, incompatibilità e conflitti di interessi. E, ovviamente, devono essere identici per tutti i componenti del CdA.
- Non si introducono modalità per la nomina. Noi riteniamo che il meccanismo debba favorire la trasparenza e la meritocrazia, come consigliano tutte le linee guida per la governance dei servizi pubblici europei. Pertanto la nostra opinione è che si rende assolutamente necessario introdurre un meccanismo che preveda un annuncio pubblico (anche attraverso i siti internet della Rai e del soggetto chiamato a indicare il Consigliere), e che anche le candidature e i curricula dei candidati siano pubblici. E che quindi anche la scelta avvenga attraverso audizioni pubbliche dei candidati.
Per raggiungere gli obiettivi di autonomia e indipendenza, inoltre, ci sono alcuni accorgimenti che possono risultare decisivi.
Ad esempio aumentare le fonti di nomina, che ovviamente non siano collegate tra di loro (come invece è per governo e maggioranza parlamentare).
Un’altra ipotesi che abbiamo individuato è quella della nomina, e quindi del rinnovo, dei singoli componenti con tempi differiti. Questo evita che il CdA sia la “fotografia” dell’equilibrio politico del momento in cui viene nominato. E, di conseguenza, riduce i rischi di spartizione e lottizzazione. Inoltre, assicura al CdA una continuità di gestione che per una qualunque azienda è caratteristica preziosa. In presenza di queste novità sarebbe ipotizzabile valutare anche un allungamento del mandato che per il momento si conferma essere di 3 anni.
Altra criticità è legata ai poteri di revoca dei componenti del CdA, comma 7). Per assicurare autonomia e indipendenza, la revoca non deve essere affidata allo stesso soggetto che nomina. Invece nel Ddl la revoca è affidata all’Assemblea dei soci, ovvero al governo. E acquista efficacia con il voto favorevole della Commissione di Vigilanza, dove quindi si riflettono gli equilibri di maggioranza e opposizione parlamentare. Con l’aggravante che anche in questo caso non è previsto un voto a maggioranza qualificata. In sostanza per 6 componenti su 7 la revoca è affidata, più o meno direttamente, agli stessi soggetti che nominano. Questo rende impossibile una valutazione serena sulla revoca, causando i due rischi contrapposti: nessuna revoca, laddove si rendesse opportuna, o spoils system forsennato in caso di cambio di governo o di maggioranza parlamentare.
In pratica l’unico componente per cui c’è la separazione tra fonte di nomina e fonte di revoca è quello indicato dai dipendenti. E allora viene da chiedersi: che succede se l’unico non nominato da governo o maggioranza parlamentare, assumesse posizioni in CdA contrarie alle indicazioni di chi nomina l’Ad, nomina la maggioranza del CdA e detiene il potere di revocarlo?
Anche per queste ragioni, è necessario indicare le motivazioni che giustificano la revoca di un Consigliere. E comunque, è indispensabile rendere obbligatorio che ogni eventuale revoca debba essere debitamente motivata, sia dal soggetto proponente che dal soggetto che ratifica.
Per quel che riguarda poi i poteri del CdA, è necessario chiarire cosa vuol dire la previsione “sentito il…” indicata più volte nel ddl. Una previsione così generica rischia di innescare dubbi interpretativi importanti. Solo a titolo di segnalazione, ci permettiamo di far notare che all’art.2, comma 10) punto b. si parla di “programmazione radiotelevisiva”, definizione limitativa per una azienda che deve fare urgentemente il salto nell’era multipiattaforma e cross mediale.
Passiamo ora all’altra importante novità, ovvero l’introduzione della figura dell’Amministratore Delegato, art.2 comma 10.
Non abbiamo preclusioni rispetto all’introduzione di questa figura. I nodi sono tutti legati sempre al tema dell’autonomia e indipendenza gestionale. Quindi alle fonti di nomina.
Il combinato disposto tra la proposta affidata all’Assemblea dei soci (quindi all’azionista di maggioranza, ovvero il governo) e il voto del CdA (per le ragioni sopra esposte, emanazione diretta di governo e maggioranza parlamentare) rende l’AD emanazione diretta del governo di turno.
Senza garanzie, senza un sistema di pesi e contrappesi, proprio di ogni democrazia, a maggior ragione se si parla di Servizio Pubblico e di informazione. Su questo punto non ci dilunghiamo, richiamandoci a quanto detto ieri dalla Direttrice Generale dell’Ebu.
Inoltre risulta incomprensibile il divieto per l’AD di essere dipendente della Rai (comma 11). Nella storia del Servizio Pubblico ci sono importanti esempi di Direttori Generali che proprio grazie al loro percorso tutto interno all’azienda hanno saputo interpretare al meglio le esigenze e i valori della Rai Servizio Pubblico.
Con questa previsione si rischia, per paradosso, di definire per legge che alla guida della Rai debba andare una professionalità di qualche azienda concorrente.
Ribadiamo inoltre per l’AD, alcune riflessioni già fatte per il CdA: è necessario arrivare alla sua nomina attraverso un annuncio pubblico, con griglie precise di competenze necessarie, l’indicazione di incompatibilità e conflitti di interessi, candidature pubbliche, audizioni pubbliche con l’illustrazione da parte dei candidati del loro piano per la Rai Servizio Pubblico. Trasparenza e meritocrazia. Oltre che il valore dell’ accountability: ovvero il dover rendere conto pubblicamente dei propri impegni e del proprio operato, di fronte agli unici veri proprietari, i cittadini.
Proseguendo nell’analisi del Ddl, al comma 12-ter, rileviamo con estrema preoccupazione che si riafferma una previsione della Legge Gasparri, ovvero l’ipotesi di privatizzazione della Rai Servizio Pubblico. che noi riteniamo pericolosa e nociva non solo per il Servizio Pubblico, ma per il pluralismo dell’informazione, e quindi per il sistema democratico.
A nostro parere, la riforma può e deve invece essere l’occasione per riaffermare la necessità di affidare il Servizio Pubblico a una azienda pubblica, abrogando la previsione di vendita di quote, seppur in forma di public company.
A proposito della natura della Rai, giudichiamo invece positiva la rottura di quei lacci che in questi anni hanno costretto la Rai ad adottare procedure incompatibili con una azienda che deve competere su un mercato in costante e rapida evoluzione, soprattutto sul fronte tecnologico e dell’innovazione.
Ma altrettanto importante è la responsabilità dei dirigenti. Pur se nella relazione che accompagna il testo si sostiene che resta invariato il controllo della Corte dei Conti, riteniamo che sia utile ribadirlo nel testo della legge, nelle modalità che riterrete opportune.
A proposito di natura giuridica, denunciamo un’altra pesante distorsione a causa dell’attuale situazione che riguarda la diffamazione e la colpa grave. Tutte le aziende editoriali private sono libere di farsi carico di eventuali condanne dei propri giornalisti. La Rai no.
La Rai, in caso di sentenza passata in giudicato, è costretta nei fatti a rivalersi sul proprio giornalista. Non si tratta ovviamente di difendere errori ingiustificabili. Tenuto conto che si tratta di reati direttamente collegati allo svolgimento del proprio lavoro, si tratta di tutelare il giornalista da querele, spesso temerarie, e da risarcimenti danni in sede civile di entità spropositata. L’attuale condizione mina alle fondamenta la libertà del giornalista del Servizio Pubblico di svolgere il proprio lavoro.
Per assicurare la indispensabile indipendenza ai giornalisti del Servizio Pubblico proponiamo l’obbligo per la Rai Servizio Pubblico di definire insieme ai dipendenti l’introduzione di “Editorial Guidelines”, sul modello Bbc ed Ebu, per garantire pluralismo, correttezza, trasparenza e responsabilità nei confronti del pubblico.
Un sistema di regole e valori per aumentare la qualità e l’affidabilità dell’informazione, la cui vigilanza deve essere affidata a un organismo indipendente dal management aziendale. Esistono diversi modelli in Europa. Laddove necessario, siamo pronti a fare proposte operative e concrete.
Come sottolinea Ebu, principi editoriali chiari e pubblici aiutano il settore editoriale a resistere a eventuali pressioni esterne.
All’art.4 si affronta il tema del finanziamento del Servizio Pubblico. Un tema che ci interessa non solo in termini di adeguatezza, ma anche – e forse soprattutto – dal punto di vista dell’autonomia e dell’indipendenza.
Come sottolineato dall’Ebu, il finanziamento del Servizio Pubblico deve essere “stabile e adeguato alla missione”, “indipendente dalle interferenze politiche”, “congruo e giustificabile”, “trasparente”.
La delega chiesta dal governo risulta essere molto ampia e senza un indirizzo preciso. Una delega quasi in bianco. Nel testo, i “principi e criteri direttivi” prescritti dall’art.76 della Costituzione non sono definiti con precisione, così come sottolineato anche dalla Nota di lettura n.85 del servizio del bilancio del Senato che parla di “mera enunciazione degli ambiti tematici da affrontare”.
Facendo sempre riferimento al documento dell’Ebu, le diverse soluzioni possibili determinano un grado di autonomia e di indipendenza diametralmente opposto.
In questo senso, non rassicura il successivo necessario passaggio nelle Commissioni parlamentari (art.4 comma 2), in quanto c’è una chiara previsione di silenzio-assenso (riducendo quindi l’effettività del dibattito e del confronto).
Per quel che ci riguarda, consegnare il rubinetto dei finanziamenti anno per anno al potere politico, vuol dire creare un vincolo di dipendenza letale per il Servizio Pubblico. Vuol dire consegnare al governo e alla maggioranza parlamentare la possibilità di fare pressioni sulle scelte editoriali dell’azienda, utilizzando la leva economica. In questo senso, la fiscalità generale rappresenta la soluzione più pericolosa.
In Olanda, ad esempio, si è introdotto questo meccanismo nel 2000: da allora il Servizio Pubblico ha subito “drammatici tagli” del budget. In altri Paesi ci sono numerose soluzioni già sperimentate che riescono a combinare la necessaria, e non più procrastinabile, lotta all’evasione, con l’adeguatezza e la certezza (di entità e di durata) delle risorse.
Noi da tempo abbiamo avanzato una proposta aggiuntiva: ovvero che il canone assuma le caratteristiche di equità sociale. Ovvero, nel rispetto e in attuazione dell’art.53 della Costituzione, che ciascuno sia chiamato a concorrere in proporzione alle proprie capacità: in sintesi, chi ha di più paga di più, chi ha di meno paga di meno, o – nei casi dei meno abbienti – non paga affatto.
Inoltre facciamo notare che la delega è di 12 mesi: dunque se anche la legge fosse approvata oggi, il governo potrebbe decidere dopo la data di rinnovo della Concessione 2016. Che senso ha immaginare che prima si rinnova la Concessione e solo dopo si definiscono modalità e ammontare del finanziamento?
Il principio che deve essere affermato è che “il contributo versato dai cittadini per il Servizio Pubblico non è solo per i contenuti prodotti dall’azienda, ma è un contributo attivo alla società stabile, democratica e pacifica nella quale loro vogliono vivere”. In sostanza è un contributo alla democrazia.
Le stesse criticità le ritroviamo nell’art.5, ovvero quello che delega il governo al riassetto del Testo unico della radiotelevisione.
Il governo sta chiedendo a voi parlamentari una delega a definire i compiti (e dunque la missione) del Servizio Pubblico. Un tema di estrema delicatezza, che tocca direttamente i valori democratici e costituzionali del nostro Paese, se è vero – come sottolinea anche l’analisi tecnico-normativa che accompagna il Ddl – che il “pluralismo informativo proprio del Servizio Pubblico” deriva direttamente dall’art.21 della Costituzione.
Lo abbiamo detto più volte: i partiti e i governi fuori dal controllo della Rai. Ma la politica ha il dovere, proprio tra le sue funzioni più alte, di occuparsi di Servizio Pubblico. A cominciare dallo stimolare il dibattito, e dal definire missione e compiti del Servizio Pubblico. In sintesi: il Servizio Pubblico appartiene ai cittadini. E dunque loro vanno ascoltati per sapere cosa vogliono dal Servizio Pubblico del futuro. E voi parlamentari, in quanto rappresentanti della volontà dei cittadini, avete il compito di fare sintesi e definire missione e compiti del Servizio Pubblico in Italia.
Intanto noi vi segnaliamo che una ottima base di discussione è il documento, approvato dall’Ebu, Vision 2020: 10 raccomandazioni per costruire i Media di Servizio Pubblico, guardando – appunto – non all’oggi ma al futuro, al 2020.
Infine, un tema specifico ma di particolare valore per il Servizio Pubblico, quello delle redazioni di minoranza linguistica. L’art. 1 punto e) del Ddl ripropone punti di criticità già presenti nel d.l. n. 66/2014. Innanzitutto, viene espunta la Presidenza del Consiglio dei ministri dalle parti che hanno contratto la Convenzione relativa alle trasmissioni e programmi radiofonici e televisivi in lingua tedesca e ladina per la Provincia autonoma di Bolzano. Si fa poi confusione tra le spese per la sede Rai di Bolzano e quelle, assunte dalla Provincia, relative alle trasmissioni e programmi per le minoranze linguistiche di cui alla Convenzione in vigore. Ed infine si inserisce un ambiguo riferimento ai “proventi del canone di abbonamento” del servizio pubblico generale radiotelevisivo.
Presidente, Commissarie, Commissari, in sintesi, le norme che regolano il Servizio Pubblico devono contenere:
- I valori fondanti del Servizio Pubblico. Quali – come suggerito da Ebu – l’universalità, l’indipendenza, l’eccellenza, la diversità, la trasparenza, l’innovazione;
- Missione e obiettivi del Servizio Pubblico, comprendendo un sostegno senza ambiguità ai principi della libertà di espressione e del giornalismo di inchiesta. In più le 10 raccomandazioni del documento Vision 2020;
- Indicazione chiara del soggetto chiamato a vigilare sulla missione di Servizio Pubblico, in ottemperanza all’indispensabile principio del “check&balance”, e quindi dei meccanismi che gli assicurino indipendenza di giudizio.
La proprietà deve
- Essere trasferita dal governo a un altro soggetto pubblico, come ad esempio una fondazione;
- Avere vertici rappresentativi della complessità, delle diversità, della differenza di genere e del pluralismo (sociale, culturale, produttivo e di competenze).
Le nomine devono avvenire con:
- Fonti diversificate;
- Tempi diversificati;
- Requisiti chiari di competenze e professionalità, e indicazione di incompatibilità e conflitti di interessi;
- Procedura di annuncio pubblico, candidature e audizioni pubbliche.
Il finanziamento del Servizio Pubblico deve rispondere ai seguenti requisiti:
- Non deve poter essere usato per intaccare l’autonomia editoriale e l’indipendenza del Servizio Pubblico;
- Deve essere concordato con il management del Servizio Pubblico in funzione della missione da svolgere;
- Deve garantire la possibilità di pianificazioni di lungo termine, pertanto deve essere fissato su base pluriennale.
Presidente, Commissarie, Commissari, in conclusione, avete nelle vostre mani una grande occasione. E’ possibile oggi finalmente realizzare quella rivoluzione culturale indispensabile al Servizio Pubblico italiano. E’ possibile finalmente oggi, dopo oltre 10 anni, superare la Legge Gasparri: si tratta di una necessità non più rinviabile.
Ma è altrettanto indispensabile farlo nella giusta direzione. Per rilanciare il Servizio Pubblico. Rendendolo finalmente autonomo e indipendente. Dai partiti, ma anche dai governi. E restituendolo ai legittimi proprietari, i cittadini, di cui voi siete la più alta rappresentanza.
Roma, 20 maggio 2015
Il Segretario generale della Fnsi
Raffaele Lorusso
Il Segretario nazionale dell’Usigrai
Vittorio di Trapani