di Riccardo Noury, Portavoce Amnesty International Italia
La decisione di far partire il Giro d’Italia del 2020 da Budapest è in linea con la prassi adottata in quest’ultimo decennio che prevede, negli anni pari, lo svolgimento della prima tappa all’estero.
Ma se già nel 2018 la partenza da Gerusalemme aveva suscitato perplessità, quella del 2020 dalla capitale dell’Ungheria non è da meno.
La cornice è sempre quella: il rapporto tra sport e diritti umani, con questi ultimi sacrificati di fronte a interessi di altro genere. L’esempio recente più clamoroso è stato quello della partita della Supercoppa di calcio tra Juventus e Milan disputata a gennaio in Arabia Saudita.
Ma, tornando al Giro d’Italia, qual è la situazione dei diritti umani nel paese da cui partirà la 103ma edizione?
Il 12 settembre 2018 il Parlamento europeo ha adottato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Ungheria, esprimendo preoccupazioni su una serie di punti: il funzionamento del sistema costituzionale, l’indipendenza della magistratura, la libertà di espressione, la libertà di associazione, il diritto a un trattamento uguale, i diritti delle persone appartenenti a minoranze – tra cui i rom e gli ebrei – e i diritti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
Ricordiamo che l’Ungheria ha affrontato la crisi migratoria scoppiata all’inizio di questo decennio blindando col filo spinato le sue frontiere, istituendo la detenzione obbligatoria per i richiedenti asilo fino al termine dell’esame della loro richiesta, non aderendo al sistema di ricollocazione proposto dalla Commissione europea nel 2015 e opponendosi strenuamente alla riforma del regolamento di Dublino.
L’Ungheria è lo stato dell’Unione europea capofila, dal punto di vista cronologico e per la severità dei provvedimenti, delle politiche di criminalizzazione della solidarietà: il 1° luglio 2018 è entrata in vigore una legge che prevede fino a un anno di carcere per le persone e le organizzazioni che si occupano di immigrazione.