di Valerio Cataldi
Mentre l’Italia va verso la guerra in Libia e non solo, c’è un’altra Italia che costruisce ponti di pace con l’altra sponda del Mediterraneo. “Ponti fondati sulla cultura, sulla certezza che abbiamo radici comuni” dice Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa mentre sorvoliamo il mare. Destinazione Tunisi, Museo del Bardo dove un anno fa i kalashnicov del sedicente stato islamico facevano strage di turisti.
Atterrando Giusi Nicolini sorride e dice: “da Roma a Tunisi un’ora e dieci di volo, da Roma a Lampedusa un’ora e mezza.” È il paradosso delle distanze che stride con le convenzioni che indicano la fine di un paese e l’inizio di un altro sulla stessa terra o sullo stesso mare. Con questo pensiero entriamo nel giardino che circonda il museo del Bardo di Tunisi, guardato a vista da militari armati che perquisiscono chiunque.
Di fronte l’ingresso la stele in memoriam, 22 nomi di cui quattro italiani, 45 feriti.
Uccisi nella strage che oggi ci dicono ideata da Noureddine Chouchane obiettivo a febbraio di un raid dei caccia americani su campi di addestramento intorno Sabratha in Libia, che ha ucciso trenta jihadisti, e “probabilmente” anche lui.
Ma di verità ne avevamo già avuta una ed era quella che ha portato in carcere in Italia un ragazzo tunisino arrivato su un barcone.
Ci dicevano fosse uno degli autori della strage, ci hanno detto anche che era la conferma che i terroristi viaggiano sui barconi nel mediterraneo, poi abbiamo scoperto che invece non c’entrava nulla e di lui non si ricorda più nessuno.
Oggi di fronte al museo del Bardo ci sono fiori freschi sotto la stele in memoriam, portati da qualcuno che un anno dopo non si rassegna al dolore e neanche all’oblio.
Monchef Ben Moussa ci accoglie con un sorriso radioso, accompagna Giusi Nicolini tra le meraviglie del Bardo e dice subito che i buchi dei proiettili nel muro non verranno cancellati.
Il direttore del Museo di Tunisi dice che la memoria va preservata, che ricordare serve ad evitare che si ripeta. “Questo è un luogo di memoria” dice Ben Moussa in un ottimo italiano “ricordare serve a a capire chi siamo”.
Sul tavolo del suo ufficio Giacinto Palladino e Alessandro De Lisi di First Social Life e R-Rinascita che curano l’operazione con la collaborazione del Comitato 3 ottobre su mandato del Comune di Lampedusa, srotolano la piantina del “museo della fiducia” che ospiterà le opere del Bardo e le opere di tutti i musei del mediterraneo che stanno continuando ad aderire al progetto. Il “museo della fiducia” sarà ospitato nel secondo piano di un edificio storico di Lampedusa che, alla fine di via Roma, si affaccia sul porto e sul mare. È la sede del museo archeologico dell’isola chiuso da un’eternità e che ora riapre grazie alla ostinazione del sindaco. L’inaugurazione a maggio, data da definire.
“La cultura è un’arma pacifica e potente, capace di cambiare il mondo” dice Ben Moussa mentre attraversa le sale del Bardo, “è l’arma con cui possiamo sconfiggere gli integralismi e l’intolleranza. Ma è anche la giusta risposta ai muri che l’Europa sta costruendo”. Il riferimento è all’ultimo confine sul quale si manifesta l’ostilità dell’Europa contro chi scappa da guerra e persecuzione: Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia dove oltre diecimila bambini, donne e uomini sono bloccati da giorni, persone che l’Unione europea pensa di riuscire a chiudere in nuovi campi forse in Grecia, forse in Turchia, per i quali continua a stanziare centinaia di milioni di euro. La politica miope delle barriere che non riescono davvero a fermare nessuno.
“Questa amicizia che stiamo costruendo con il museo del Bardo contiene un messaggio opposto ai muri che l’Europa continua a costruire per cercare di fermare le persone che scappano dalla guerra e dalla miseria, dice Giusi nicolini. È un messaggio che si lega ai gesti che fanno da sempre i lampedusani, che fa l’Italia, ovvero accogliere le persone che annegano nel mediterraneo. Il museo della fiducia è un opera importante che rende Lampedusa centro culturale del mediterraneo. E l’arte, dalla nostra isola, lancia messaggi di pace, di tolleranza, di giustizia, di accoglienza.”
Hanno aderito al museo della fiducia il Mibact e le Gallerie degli Uffizi insieme al Bardo; i Musei Civici Veneziani, il Museo Correr, il Museo Storico della marina Militare, il Museo delle Trame Mediterranee, l’Imarabe di Parigi, il Mucem di Marsiglia, la Regione Sicilia. Una operazione culturale di altissimo livello nel quale è previsto uno spazio multimediale per un racconto visivo del mediterraneo e delle migrazioni che si sta costruendo assieme alla Rai. Esiste già un progetto promosso e fortemente voluto dall’Usigrai, un progetto nel progetto che traccia l’idea di quella che già chiamano “camera Rai” all’interno del museo.
“La memoria serve a capire chi siamo”, a prendere coscienza e a decidere da che parte stare. Serve a capire e va coltivata con cura. L’ultima relazione al parlamento dei servizi segreti italiani ammette che non ci sono riscontri alla presenza di terroristi sui barconi, però dice che l’allarme c’è sulla rotta dei Balcani, dove marciano a decine di migliaia, dove i rifugiati vengono trattenuti al freddo e nel fango da reti, filo spinato, manganelli e gas lacrimogeno. Il pericolo terrorismo, dice l’intelligence, arriva da li, a piedi. E la paura torna a prendere il sopravvento.
Ben moussa cammina tra mosaici e affreschi che rappresentano il mare. Il mare mediterraneo dove si contano per difetto 20 mila morti annegati in dieci anni. “Non abbiamo diritto di lasciarli annegare, dice. Lampedusa si prende carico di questa missione e non vogliamo lasciarla sola. Lampedusa oggi è venuta a Tunisi per dirci che è con noi e noi non dobbiamo scordarci mai di ripetere che siamo con Lampedusa e che lo saremo sempre.”
Lampedusa, l’isola dove inizia l’Europa che ha insegnato al mondo come si accoglie chi arriva dal mare.