di Maria Gianniti
Ci sono eventi che segnano la storia professionale di una persona, avvenimenti che lacerano quella patina che ogni giornalista dovrebbe avere per cercare di mantenere la propria obiettivita’ ed essere così lucido nel racconto.
Il mio “evento” è stata la morte di Giulio Regeni.
Assieme ad altri colleghi ho condiviso i momenti concitati che sono seguiti al ritrovamento del corpo del giovane ricercatore di Fiumicello, il 3 febbraio dello scorso anno. Abbiamo vissuto le difficoltà per cercare fin da subito di ricomporre un quadro tristemente noto a molti egiziani, ma che per la prima volta vedeva protagonista un ragazzo italiano, colui che qualcuno ha voluto chiamare “la Nostra Meglio Gioventù”
Perché Giulio Regeni, nella sua passione e nel suo impegno di ricerca era certamente un ragazzo speciale. E come lui, al Cairo, ce n’erano tanti.
L’annuncio da parte del governo italiano di far tornare l’ambasciatore italiano al Cairo, dopo 16 mesi di crisi diplomatica, è un annuncio che non puo’ non ferire i genitori di Regeni. Come loro hanno più’ volte sottolineato, proprio non far tornare il nostro piu’ alto rappresentante diplomatico in Egitto era l’ultima vera carta da giocare per poter fare leva sul regime del presidente Al Sisi ed avere la verità sulla sorte tragica di Giulio.
Ma le ragioni di Stato e gli interessi politici purtroppo prendono il sopravvento ed è questo che è accaduto ieri.
L’Italia ha bisogno dell’egiziano Al Sisi per la stabilizzazione della vicina Libia, per poter sfruttare la sua influenza sul generale Haftar che controlla l’est del paese.
Ma certo l’annuncio legato all’arrivo a Roma di dossier importanti più volte negati ai magistrati italiani dagli inquirenti egiziani che ha permesso di sbloccare la crisi diplomatica e’ arrivata alla vigilia di Ferragosto e per questo ha il suono di una beffa.
Giusto ricordare anche cosa sia il 14 agosto da quattro anni a questa parte in Egitto. E’ il giorno in cui, nel 2013, l’esercito guidato proprio dall’allora Generale Al Sisi compì la strage di Rabaa al Adaweya, al Cairo, massacrando centinaia di giovani sostenitori dei Fratelli Musulmani e del deposto presidente Morsi che da settimane avevano creato un presidio di protesta.
Per i coraggiosi genitori di Giulio la scelta del nostro governo è una resa, ma sapevano che era nell’aria da tempo. Usare però il caso del figlio per giustificare altri interessi politico-diplomatici a loro proprio non va giù.
Oggi l’Egitto è un paese dalle libertà negate, dove i ricercatori come Giulio fuggono, dove le voci libere sono imbavagliate.
Questa mattina, dalla redazione, ho provato a chiamare al Cairo qualcuno che era vicino a Regeni durante la sua permanenza in Egitto, ma mi ha chiesto di non essere registrato per evitare che le sue parole potessero essere causa di un suo arresto. “Oggi è troppo rischioso parlare della politica egiziana”, mi ha detto.
Un caro amico, un giornalista egiziano, che ha aiutato noi giornalisti Rai nei giorni di lavoro in Egitto per seguire la triste vicenda di Regeni, ha scelto di lasciare il suo paese e oggi vive qui, a Roma. Era infuriato per la scelta del nostro governo. “Così date ancora più man forte al regime che continua a uccidere!!” mi ha detto indignato.
Ho provato a spiegargli i motivi della decisione, ma non ha voluto sentire ragioni….
Personalmente credo che l’arrivo dell’Ambasciatore Cantini potrà in qualche modo aiutare il perseguimento della verità, ci vuole una presenza autorevole per continuare a fare leva sugli egiziani dopo mesi di silenzi, depistaggi e bugie.
Tutti sappiamo che i responsabili della morte di Regeni sono da cercare tra membri dei tanti servizi di sicurezza. Alcuni nomi di coloro che hanno partecipato ai depistaggi già si conoscono. Non conosciamo ancora gli esecutori materiali. Ma gli egiziani diranno mai la verità? Io non lo credo.
Paola e Claudio Regeni sanno che dalla loro parte ci sarà sempre quello che hanno definito il “Popolo giallo di Giulio”, le migliaia di persone che si sono mobilitate e continuano a farlo per chiedere che si vada fino in fondo, che la verità venga a galla.
L’Ambasciatore Cantini che presto andrà al Cairo avrà tra le sue priorita’ chiedere questa verita’, lo ha ribadito il premier Gentiloni.
Come giornalisti, abbiamo il dovere di continuare a parlare di Giulio Regeni, anche e soprattutto oggi, a Ferragosto. Disturbiamo la quiete di chi è in vacanza, è nostro dovere.
Io non so se potrò’ fare molto con il mio lavoro, ma Giulio Regeni e la sua storia mi accompagnano tutti i giorni, ogni volta che guardo il display del mio cellulare. Ho messo come salvaschermo da tempo un disegno fatto da un giovane street artist egiziano che ritrae il volto sorridente di Giulio. Quel disegno pare sia apparso una sola notte di circa un anno fa sul muro di Sharea Mahmoud, al Cairo, prima di essere cancellato.