Oggi su La Stampa Maurizio Molinari racconta gli “Zero Tv People”, ovvero la generazione che ha abbandonato la tv o che non l’ha mai accesa. Perché il “palinsesto” se lo crea su misura e perché usa i nuovi device (tablet e smartphone innanzitutto).
Quando parliamo di innovare, cambiare, vuol dire anche guardare a questa nuova realtà. Se ne potrebbe discutere a lungo. Io mi soffermo per ora su un solo elemento, che riprende la proposta lanciata da Nicola D’Angelo dal sito Usigrai: il nuovo Servizio pubblico può e deve avere un ruolo e una missione centrali in questo contesto, ovvero garantire l’accesso al web a tutti.
La Rai ha già una fitta rete di torri (RaiWay, per intenderci) che potrebbe essere usata per abbattere il digital divide. In perfetta linea con l’idea di Stefano Rodotà di un articolo 21 bis della Costituzione, che afferma che l’accesso alla rete rientra tra i diritti fondamentali della persona.
Tutto questo apre una riflessione sul concetto di canone come tassa di possesso della tv, in favore invece di una tassa di scopo (progressiva sul reddito e con esenzione per i meno abbienti) per sostenere il Servizio pubblico crossmediale.
E allora quando ci si domanda: ma ha ancora senso oggi un Servizio pubblico? Ecco uno dei motivi per rispondere senza dubbio sì.
Del resto – come ha evidenziato Roberto Mastroianni – anche in Gran Bretagna sta prendendo corpo per la Bbc il passaggio dello slogan “informare, educare, intrattenere” a “informare, educare, connettere”.
Cambiare è urgente. In maniera radicale. Per questo è indispensabile aprire subito un grande dibattito nazionale in vista del rinnovo della Concessione di Servizio pubblico: il 2016 è domani.
Vittorio Di Trapani