di Andrea Rustichelli
Pochi dubbi ci sono sul fatto che la prospettiva dell’online sia ormai, più che una strada futura, una necessità perentoria del presente. Necessità, cosa altrettanto e tristemente nota, su cui la Rai appare non attrezzatissima (eufemismo).
Le buone performance di RaiPlay mostrano la ricchezza dell’offerta Rai, premiata da un’ampia fidelizzazione di cui gode il marchio del Servizio Pubblico.
Ma cosa comporta per le news la famosa “sfida digitale”? Un fatto è certo: le news, a differenza delle fiction e di altri format, sono una materia prima molto particolare, calibrata sul “tempo reale” e sul “live”. Qualità che si presta meno alla diffusione online, come per esempio evidenziano i dati radiofonici del podcast (la gente ascolta e colleziona programmi, non gr).
Va anche aggiunto (e non è un caso) che la “rivoluzione Netflix” non ha finora aggredito il mondo delle news. Per fortuna.
Come porre, quindi, la questione del connubio tra news e diffusione digitale?
Intanto liberandoci di un macigno che copre la visuale. Troppo spesso, infatti, si appiattisce il mondo news sul format telegiornale (un conduttore che per una mezz’ora “lancia” servizi da circa un minuto e mezzo). Telegiornale che è prodotto novecentesco per eccellenza. Un format decisamente antico ma certo ancora in auge e non da dismettere, se parliamo di tv tradizionale (tenendo presente la dimensione anagrafica della popolazione italiana).
Attualmente, succubi dell’equazione news = tg, il meglio che noi in Rai facciamo è scorporare i singoli servizi per metterli sui canali online (siti web, Facebook ecc). Ma questo è decisamente troppo poco, quasi patetico. È come se scorporassi il guanciale dalla amatriciana che sto cucinando e lo servissi da solo, magari freddo.
C’è poi il tema monstre (sfumato in farsa) del portale news, anche di gabanelliana memoria. Un portale Rai certamente ci vuole ed è doveroso. Ma non deve diventare la riproposizione online del modello tg, né una foglia di fico. Perché il portale non basta: se non come casa di rappresentanza, punto di raccordo dei contenuti.
Appunto, i contenuti. Ma quali? È questo il fulcro. E sembra ormai chiaro, guardando al medio-lungo periodo (cosa rarissima in Rai, dove i Cda durano tre anni e poi si azzera tutto), che si debba ragionare su contenuti “nativi” per il digitale. Non è complicato: abbiamo tutte le professionalità redazionali per produrli, salvaguardando la natura squisitamente giornalistica del prodotto. Contenuti che possono anche finire poi nei tg (o di più: possono anche essere pensati in parallelo per i tg, mutatis mutandis), ma che devono rompere finalmente il legame di subordinazione di linguaggio rispetto al tg.
Penso non solo a pezzi di “approfondimento” (termine importante, anche se un po’ logoro), ma soprattutto a pezzi che peschino nell’obliquità: cioè in ambiti news poco esplorati dai rattrappiti format dei tg (i cui sommari sono tutti per lo più simili, se non uguali). Qui un ruolo strategico possono giocarlo tutti i settori: e in particolare la Cultura e gli Esteri (ambiti che nei tg sono particolarmente sacrificati). E poi le vox populi: cioè, su un dato tema del giorno (pensato in modo fertilmente provocatorio), cosa pensi la gente adeguatamente incalzata dalle domande dei giornalisti.
Sono solo alcune possibilità (molte altre se ne potrebbero vagliare) che la produzione di contenuti nativi offre e vale la pena mettersi al lavoro.
A tal proposito, last but not least: come organizzare questo lavoro? Fare leva su una sensibilità diffusa impiantata dentro ogni settore redazionale oppure creare una redazione ad hoc?
Saranno i vertici aziendali a dover progettare adeguatamente la cosa, non trascurando, si spera, i suggerimenti che arrivano dalla base. Ma credo che un’ipotesi non escluda l’altra. Anzi sembra opportuna, anche qui, una visione integrata: cioè che le varie redazioni vengano coordinate da una struttura a rete, che se ne infischi delle barriere tra una testata e l’altra. Struttura che gestisca la produzione dei contenuti e la distribuzione loro sui vari canali della filiera digitale delle news: dalla casa-madre (il sito) ai social (Instagram, più che il vecchio Facebook), passando per i vari altri canali, come YouTube.
Il tutto, poi, con una finestra promozionale anche in onda sulla vecchia e cara tv: una mezz’oretta di lancio, per esempio il sabato, del meglio online della settimana a venire.
La tv è un elettrodomestico e il format tg (un grande avvenire dietro le spalle) è un po’ la sua espressione datata. I giornalisti hanno maledettamente bisogno di rompere quello steccato che orami va troppo stretto. Nessuna paura: sapranno restare giornalisti e rendere riconoscibile la qualità giornalistica dei prodotti, garantendo il rigore delle fonti e la qualità deontologica del lavoro. Giornalisti ben oltre un format.