di Vincenzo Frenda
Nel 2016 sono 93 i giornalisti e gli operatori dei media rimasti uccisi per motivi legati al proprio lavoro. Lo dice la Fédération internationale des journalistes che ha messo in fila i numeri disponibili fino ad oggi. Dati che rimangono parziali e sottostimati visto che comprendono solo le morti accertate, lasciando fuori i casi sospetti, le tante sparizioni di giornalisti in tutto il mondo.
Inoltre a questo già allarmante conto mancano i 29 giornalisti morti in due disastri aerei in Colombia e Russia, altrimenti il totalizzatore salirebbe già a 122.
Come sempre sono gli scenari di guerra i luoghi a maggiore rischio per i media: 30 i morti accertati in Medio Oriente e nel mondo arabo, 28 in Asia, 24 in America Latina, 8 in Africa e 3 in Europa.
L’Iraq (15 morti) e l’Afghanistan (13) e il Messico (11) sono i paesi con più giornalisti morti.
Nel 2015 furono 112 le vittime accertate, ma questa leggera diminuzione non deve far abbassare la guardia; la lunga scia di morti, i molti crimini rimasti impuniti, la poca chiarezza fatta da tanti governi difronte alle sparizioni di giornalisti, le tante forme di pressione utilizzate contro la stampa hanno fatto da deterrente su chi ha il compito di raccontare generando un motto di autocensura.
In Italia nel 2016 nessun giornalista è stato ucciso, ma sono ben 412 i casi di intimidazioni, minacce e gravi abusi subiti dagli operatori dei media.
Lo ha calcolato Ossigeno per L’informazioneche ha reso noti i nomi e le circostanze in cui le minacce si sono verificate. Il 15% ha subito aggressioni fisiche, il 32% avvertimenti, il 37% querele temerarie ed altre azioni giudiziarie atte a ostacolare il lavoro di cronista, il 4% ha subito danneggiamenti, il 9% impedimenti a dar pieno compimento all’articolo 21 della Costituzione per i quali i codici non prevedono né reati né sanzioni.
Numeri, anche in questo caso, in diminuzione rispetto al 2015 (528 i casi conteggiati) ma che rimangono assolutamente parziali, spiega Ossigeno, perché comprendono solo i casi accertati.
“Altrimenti sarebbero 10 volte di più” ha detto il direttore di Ossigeno Alberto Spampinato, “ma forse stavolta questo numero dobbiamo ancora raddoppiarlo”, dopo che il ministero di giustiziaha reso noto il numero delle querele per diffamazione che ogni hanno vengono rigettate dai giudici già in fase preliminare: 5125 su 5904, circa l’87%.
“Alcune saranno presentate in buona fede” aggiunge Spampinato, “ma la maggior parte sono intimidazioni per via legale, bavagli consentiti da una legge ingiusta”.
Un panorama allarmante che rende ancora più urgente un intervento del legislatore per fermare uno strumento, quello delle querele temerarie, che soprattutto nelle periferie del nostro paese, dove il mestiere del cronista è meno garantito, diventa decisivo nella scelta di dare o meno una notizia, di denunciare in modo chiaro e diretto casi di corruzione e di infiltrazioni mafiose, di andare fino in fondo nelle proprie inchieste.
Il primo passo per disinnescare questo strumento liberticida sarà l’apertura del tavolo tavolo di confronto su questi temi annunciato dal ministro della giustizia Orlando.
Difendere la vita e la libertà di espressione di un cronista non significa solo salvaguardare il lavoro di una persona o la sua integrità fisica, significa anche moltiplicare gli anticorpi di una società sana che mantenga il pieno diritto ad essere informata in modo corretto in ogni occasione, in ogni latitudine.