di Andrea Rustichelli, Tg3
C’era una volta il pastone. Quello bello gonfio, inzeppato come un bignè di San Giuseppe della Prima Repubblica. E oggi? Il metodo pastone, che è essenzialmente cronaca di dichiarazioni, mutatis mutandis, resta intonso ed egemone nelle nostre redazioni politiche: palesando, però, tutta la sua inadeguatezza, inefficacia informativa, obsolescenza.
Almeno due circostanze avevano segnato l’affermazione della cronaca di dichiarazioni: la lottizzazione vecchio stampo (quella diretta, a quote palesi) e la mediazione, in linea di massima, delle agenzie di stampa, depositarie delle parole dei politici. Un contesto che oggi è mutato (fermi restando gli appetiti dei partiti sulla Rai), in primo luogo perché esistono ormai i social e il web: col proliferare di messaggi e comunicazioni autoprodotti dai politici, che bersagliano direttamente i cittadini-follower.
Soprattutto alla luce di quest’ultimo fattore, cioè i social e la comunicazione “disintermediata” (leggi: propaganda), la cronaca di dichiarazioni stile elenco telefonico appare del tutto satura, fuori tempo massimo, finendo per rappresentare una zavorra ammazza-pubblico. Per non menzionare la dubbia dignità professionale del giornalista compilatore che, pur nella sua sapienza di cuoco dosatore, è di fatto costretto a correre dietro alle sparate di chi (dall’altra parte, cioè la politica) usa ad arte questa forma di sudditanza.
Dobbiamo quindi, tardivamente, porre il problema di come raccontare la politica in modo alternativo, abbandonando una volta per tutte la cronaca di dichiarazioni. Perché è evidente che, se il pastone è morto, le redazioni del politico non vanno certo smantellate, anzi vanno rilanciate. In quale direzione? Intanto raccontando non quello che i politici dicono ma quello che fanno: ovvero la produttività delle istituzioni e l’impatto di leggi e provvedimenti sulla vita dei cittadini. Secondo, le redazioni politiche potrebbero fare qualcosa che oggi (nell’epoca della disintermediazione-propaganda) appare rivoluzionario: porre domande ai politici, per esempio realizzare delle interviste mirate a singoli esponenti della politica. Terzo, incrementare pezzi di interpretazione che, nella giungla di messaggi e dichiarazioni, aiutino il cittadino a capire, talvolta a smascherare, le strategie di comunicazione dei partiti.
Uccidere il pastone, in fondo, significa rifiutare la tradizionale logica della sudditanza della nostra parola di giornalisti a quella dei politici. Le competenze per tutto questo in Rai ci sono. C’è da sperare che, nell’interesse dei cittadini e della dignità professionale degli stessi giornalisti, anche i direttori vogliano e possano muoversi in questa direzione più attuale e più appagante per tutti.