La prima sezione penale della corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza con la quale il 18 giugno scorso Roberto Spada, esponente di spicco dell’omonimo clan, è stato condannato dal tribunale a sei anni di reclusione per l’aggressione al giornalista di ‘Nemo’ Daniele Piervincenzi e al cameraman Edoardo Anselmi, avvenuta a Ostia il 7 novembre del 2017. Il collegio, presieduto da Bruno Scicchitano, ha mantenuto invariate le accuse di violenza privata e lesioni personali aggravate dal metodo mafioso.
«La conferma della condanna è la riprova che a Roma la mafia esiste e che bene hanno fatto e fanno i giornalisti della Capitale a denunciarne i traffici, gli abusi e i soprusi. Dobbiamo tutti essere riconoscenti a questi colleghi che, pur di onorare il loro impegno con i cittadini, hanno dovuto subire e subiscono insulti e minacce», commentano Federazione nazionale della Stampa italiana, Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e Usigrai.
«È anche la conferma – proseguono – che i cronisti che svolgono il loro lavoro con ‘la schiena dritta’ possono vincere la battaglia per la legalità contro chi vorrebbe ridurli al silenzio con la violenza. Gli organismi della categoria sono e saranno al loro fianco in questa battaglia, dentro e fuori le aule di tribunale. Un grazie, infine, a Daniele Piervincenzi ed Edoardo Anselmi e all’avvocato Giulio Vasaturo, che ha seguito la costituzione di parte civile di Fnsi e Ordine».
Oltre a sindacato e Cnog, erano parti civili nel procedimento anche Regione Lazio, Campidoglio, Libera, Associazione Caponnetto e le due vittime dell’aggressione. Spada era collegato in videoconferenza dal carcere di Tolmezzo, dove è detenuto in regime di alta sorveglianza.
La sua condotta, ha detto in sede di requisitoria il sostituto procuratore, Vincenzo Saveriano, «è stata una condotta tipicamente connotata dal metodo mafioso. Spada si è comportato in quel modo perché si trovava nel suo territorio, ha agito indisturbato in spregio alle più elementari regole del vivere civile, con la connivenza della popolazione». Tutte circostanze che, a parere del rappresentante della pubblica accusa, dimostrano come «in quel quartiere il clan Spada potesse contare sull’omertà dei cittadini».
Quella compiuta da Spada fu «un’azione talmente significativa ed emblematica – ha ribadito Saveriano – che nella sua ottica doveva servire come lezione per scoraggiare chiunque avesse voglia di andare in quella zona di Ostia a dare fastidio con domande inopportune».