di Michele Mezza
Mediasenzamediatori.org
Sembra proprio una barzelletta. Appena sembra di riuscire a spostare il pachiderma Rai sulla nuova frontiera del digitale più competitivo, ecco che il limite si sposta e il servizio pubblico si ritrova lontano dall’innovazione. Da poco era diventato senso comune quello di trasformare la Rai da broadcaster in media company. Tanto che ancora oggi ci sono all’ordine del giorno convegni ed iniziative in cui pletore di predicatori sollecitano l’azienda a diventare multimediale. E nel frattempo l’orizzonte si allontana.
L’annuncio che la solita implacabile BBC sta per avviare la sua evoluzione in Internet centric broadcaster suona come una beffarda provocazione. Ma forse non è la forma del cambiamento a contrassegnare i nuovi tempi ma proprio la sua provvisorietà e freneticità. Come spiegava anni orsono Paul Viriliò, stravolgendo la stessa previsione di Mc Luhan “è la velocità il messaggio”.
Proprio la capacità di cogliere il divenire oggi contraddistingue le aziende di successo dagli eterni inseguitori. Ma forse ancora meglio sarebbe tarare i programmi e i progetti non sulla bolsa imitazione di quanto ci circonda, come accade spesso in Rai, ma guardando più lontano e rischiando su una vision del futuro.
E’ questo che si propone Matthew Postgate il nuovo technology Chief dei BBC. Il suo compito è quello di posizionare il servizio pubblico di Sua maestà britannica al livello dei grandi challeger della rete, come netflix, Google ma anche Amazon, ha aggiunto significativamente Postgate.
Proprio l’indicazione del grande service provider che vende e consegna nel mondo ci fa intendere cosa significhi Internet Centric broadcaster. Non certo quello che va per la maggiore nei piani alti di viale Mazzini, ossia infilare Internet in ogni fotogramma in modo da dire siamo sintonizzati con il mondo.
Essere un soggetto della rete, significa, spiega pacatamente il nuovo stratega di BBC: pensare per Internet, i gruppi dei media, insiste Postagate, “devono apprendere dai cambiamenti di mercato se vogliono metetrsi nella posizione per competere con le aziende nate nell’era digitale”.
In questa competizione viene ritrovata la mission nazionale di BBC, ossia assicurare al paese autonomia e sovranità nei linguaggi e nelle soluzioni con cui i suoi cittadini si ritrovano a relazionarsi in rete. In questa strategia i contenuti sono uno degli elementi, e neanche i principali. La memoria, la capacità di ricerca, le filosofie espressive in rete, la struttura degli algoritmi, il modo di dialogare con i server sono elementi altrettanto essenziali per farsi che un gruppo audiovisivo diventi indispensabile al proprio paese nella transizione digitale.
Per questo ci appare inadeguata la proposta di riforma delle news della direzione generale; è tutta schiacciata sull’oggi, mira a razionalizzare il presente, ignora le prospettive del settore. Pensa al flusso di notizie non alla capacità di cercarle e proporle al paese. Non si pone il problema del sistema utente: con chi parleremo e come con le nostre notzie? Le cercheremo ancora appaltando a Google o ad Avid le intelligenze editoriali? Sono nodi che se non sciogliamo rischiano di soffocare il giornalismo radiotelevisivo italiano.
Un esempio concreto lo abbiamo sotto i nostri occhi: Periscope, la nuova comunity di streaming mobile in diretta, lanciata da Twitter. In pochi giorni è scoppiata la bolla digitale. Ormai non si apre nemmeno una drogheria se non c’è un backstage con Periscope. Sperimentare nuove soluzioni è certamente meglio che ignorarle. Ma un azienda pubblica, che mira ad essere riconosciuta come servizio strategico del paese può limitarsi a entusiasmarsi per un prodotto, tanto più se limitato e targettizzato come appunto Periscope, come un adolescente qualsiasi?
Nopn sarebbe più decente avere un atteggiamento più critico, misurare i limiti della soluzione che nel nostro caso è adattata solo a quella minoritaria parte del mercato degli smasrtphone commercializzati da Apple, e anche per questi mostra evidenti limiti di tenuta dei propri server? Non sarebbe più consono cogliere la sfida e, da azienda audiovisiva quale è la Rai, sviluppare soluzioni più trasversali e accessibili? Magari alleandosi con gruppi italiani come Tiscali e incrementare la sua analoga soluzione come è Streamago Social?
Insomma essere un’azienda Internet centric signica cogliere le opportunità dell’abbondanza dei servizi in rete ma vederne anche le insidie e i pericoli di subalternità. La rai oggi ha dinanzi una sfida mortale: adeguarsi a seguire un languido declino, lungo il quale politica ed economia sembrano trovare nuovi partner per i propri obbiettivi.
Oppure ripensare la sua missione e proporsi come un segmento competitivo del sistema italia, funzionale alla ripresa e soprattutto di supporto ad una strategia di rilancio che gioca sulla capacità di parlare autonomamente al mondo. Nel linguaggio del mondo.
Proprio 50 anni fa si consumò un dibattito culturale preveggente sul futuro italiano. A contrapposi Pierpaolo Pasolini che difendeva l’originaria purezza della lingua italiana e Italo Calvino che invece sosteneva la necessita dell’italiano di contaminarsi per guidare e governare il processo di evoluzione sociale che la tecnica avrebbe imposto.Oggi ci ritroviamo a quel bivio. Allora prendemmo la strada sbagliata, quella che ci portà a svendere l’Olivetti, a ignorare i primati tecnologici che avevamo nell’elettronucleare o nell’industria spaziale. Possiamo oggi imparare da quegli errori. La Rai è ancora un banco di prova.