di Fabrizio Feo
A 21 anni dall’agguato in cui Ilaria e Miran furono uccisi, il caso Alpi-Hrovatin è giunto ad un bivio. Due fatti nuovi dicono che o si afferra ora il bandolo della matassa di misteri e depistaggi, oppure la ricerca della verità rischia di essere compromessa per sempre.
Mi rivolgo per questo alla magistratura, agli investigatori, ai miei colleghi e alla Rai affinché non cada nel vuoto l’appello lanciato da Luciana Riccardi Alpi il 20 giugno scorso in una intervista al TG3. “Voglio sapere – ha detto con forza la signora Luciana – chi ha costruito false piste, chi ha lavorato per allontanare ogni possibilità di individuare chi ha ordinato il duplice omicidio di Mogadiscio”.
Chiedo di sostenere l’appello di Giuseppe Giulietti e di Articolo21 perché, costi quel che costi, vengano battute tutte le strade per arrivare alla verità e alla giustizia, seguendo fino in fondo le piste dei traffici illeciti e delle eventuali coperture politiche, italiane e non.
La nuova clamorosa ritrattazione delle accuse fatta da Ahmed Ali Rage detto “Gelle”- stavolta davanti alle telecamere- e la scarcerazione avvenuta 4 mesi fa per buona condotta di Hashi Omar Hassan – che per quelle accuse ha scontato 16 anni di galera – ricordano a tutti cosa sono state le inchieste di questi anni.
Sì, le inchieste. Perché quelle giudiziarie sono state più di una. E perché, poi, c’è anche l’inchiesta parlamentare.
In queste inchieste, insieme a tanto impegno leale nella ricerca di colpevoli e moventi, compaiono atti, passaggi, che lasciano esterrefatti; scelte o “buchi nell’acqua” che devono essere spiegati. Un esempio? Proprio il fatto che Ahmed Ali Rage detto Gelle probabilmente si poteva trovarlo già dieci anni fa quando ritrattò per la prima volta le accuse contro Hashi , e proprio lì dove la trasmissione di Rai3 “Chi l’ha visto?” lo ha rintracciato.
Dunque al Procuratore Pignatone – che, con la pm cui ha delegato l’inchiesta, ha ora avviato nuove indagini -non tocca un compito facile. Ancora una volta molti muri da abbattere. Molto vecchi e alti. Ahmed Ali Rage, ritrattando, ha ribadito che per fargli dire menzogne gli avevano promesso soldi e un visto per l’Italia. Questa affermazione, se riscontrata, dimostrerebbe una volta per tutte che il duplice omicidio di Mogadiscio non fu conseguenza di una rapina finita male, non fu un fatto casuale. Dimostrerebbe che in tutti questi anni in tanti hanno avuto interesse a nascondere le ragioni del delitto. Anche personaggi seduti su scranni molto alti delle istituzioni di questo Paese.
All’azione della Procura di Roma deve affiancarsi l’attenzione della pubblica opinione – che pure non ha fatto mancare negli anni la sua solidarietà ai familiari di Ilaria e Miran- e soprattutto l’impegno dei media. Non solo singoli o piccoli gruppi di giornalisti. Ma di una categoria intera, a cominciare da NOI colleghi di Ilaria, consapevoli che la battaglia per difendere il diritto/dovere di informare comincia dalla richiesta della verità su questa e altre drammatiche vicende uguali a quella di Ilaria e Miran.
Leggo l’elenco di titoli e servizi della nostra videoteca, quella dei tg e delle trasmissioni, degli approfondimenti Rai; guardo cosa è stato fatto, quanto abbiamo fatto, non per “ricordare” e “commemorare”, ma per cercare o anche solo per chiedere la verità o seguire le tappe dell’inchiesta. Rileggo, e mi convinco che se molto è stato fatto, si poteva, si può e si deve fare di più. Tutti i giorni.
Sta ad ognuno di noi. E il momento è questo.