di Paolo Borrometi
Era il 23 novembre del 1993 quando il piccolo Giuseppe Di Matteo venne rapito da due finti “poliziotti”.
Quando i finti “poliziotti”, cioè i mafiosi, su ordine di Giovanni Brusca lo presero, dissero al piccolo che lo avrebbero portato dal padre.
Lui, il piccolo Giuseppe, scoppiò in un immenso sorriso e disse “Padre mio, Cuore mio”.
Quel sorriso fu l’ultimo sul viso di un bambino innocente che ebbe l’unica “colpa” di essere figlio di Santino Di Matteo, prima uomo di mafia, poi pentito. Perché da quel momento quegli uomini senza cuore gli avrebbero tolto tutto.
Da quel giorno la vita del piccolo Giuseppe, pian piano, si è spenta. Giorno dopo giorno.
E di giorni ne passarono 779 giorni.
Giorni bui, sporchi di una crudeltà inaudita… in cui la vita di un bambino è stata spazzata via dalla lucida mente mafiosa.
Brusca ordinò l’uccisione del ragazzo, ormai fortemente dimagrito e indebolito per la prolungata e dura prigionia, che venne strangolato e successivamente sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, all’età di 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, o meglio 779 giorni.
Per non dimenticare mai la dolcezza di un bambino e la schifosa esistenza dei mafiosi. I mafiosi, una montagna di merda…