di Vittorio Di Trapani
“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”. Così diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa.
Le parole sono importanti, sì.
Soprattutto per chi, come i giornalisti, le hanno come “attrezzi” del proprio mestiere.
Più i temi sono delicati, più le parole sono importanti, vanno scelte con cura. E con cultura.
Come sottolinea Valerio Cataldi, inviato del Tg2, sul sito di Articolo 21, “è importante imparare a parlare diversamente, è importante contrapporre i fatti, la logica e il buon giornalismo alla propaganda. È importante fermarla la paura, invece che diventarne strumento”.
Lui ne parla occupandosi di migranti. Ma il suo invito può e deve essere esteso a tutta l’informazione.
Soprattutto quando si occupa degli emarginati, degli esclusi, degli invisibili, delle periferie da illuminare.
E su questo non si può fare appello a un malinteso senso di “imparzialità”.
Non si può essere imparziali di fronte alle paure alimentate ad arte.
Non si può essere imparziali di fronte all’invasione (il termine non è casuale) di luoghi comuni.
Non si può essere imparziali di fronte all’odio e agli istigatori d’odio.
Per questo ho dato il mio pieno sostegno alla campagna per dire no #hatespeech lanciata dall’Associazione Carta di Roma.
L’iniziativa, nata dopo che il Social Media Team de La Stampa ha deciso di cancellare i commenti razzisti dal proprio sito, ha avuto il sostegno della Federazione Europea dei Giornalisti e della Federazione dei periodistas spagnoli.
Una cultura nuova, una etica nuova del giornalismo che sta attraversando l’Europa. Dalla Ard tedesca alla belga Rtfb.
La Rai Servizio Pubblico deve svolgere un ruolo centrale. Cosa è l’auspicata “rivoluzione culturale” se non proprio il ruolo di avanguarda per l’affermazione della nuova etica del giornalismo e dell’informazione?
Per costruire la Rai del futuro dobbiamo tornare a discutere, a confrontarci, a litigare su questo nelle redazioni. Su come dare e come non dare delle notizie. Sul se trasmettere o non trasmettere delle immagini. Sul perché alcune storie ci sono nei nostri sommari, e altre invece no. Sul perché in alcuni luoghi ci siamo con i nostri inviati, e in altri invece no.
Insomma, si deve ripartire dal prodotto. E da ciò che noi tutti i giorni raccontiamo ai nostri proprietari: i cittadini.
E questo dibattito, queste domande, e le nostre risposte, le porteremo al nuovo vertice della Rai, dal Direttore Generale alla Presidente passando per il Consiglio di Amministrazione.
Come sindacato delle giornaliste e dei giornalisti della Rai saremo promotori di iniziative di confronto e di formazione. E saremo accanto a chiunque voglia costruire questa nuova strada.
Perché oggi più che mai abbiamo bisogno di costruttori di ponti, non di muri.