di Renato Parascandolo (dal sito di Articolo 21)
I gruppi di studenti delle scuole superiori e delle università, impegnati nel riscrivere la “Carta d’identità della Rai”, parteciperanno all’assemblea indetta dall’Usigrai per un radicale rinnovamento del servizio pubblico e contro la “sanzione” di 150 milioni di euro imposta dal Governo alla Rai per decreto legge. Contro coloro che per giustificare la privatizzazione della Rai e il suo ridimensionamento fanno ricorso all’espediente retorico per cui i sostenitori delle ragioni del servizio pubblico sono soltanto espressione di sparuti “nostalgici del monopolio” a difesa di interessi corporativi, la partecipazione degli studenti starà a testimoniare quanto sia rivolto al futuro e tutt’altro che desueto, quel passo del Trattato di Amsterdam che muove dal presupposto “che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione”. Per affermare questi principi, Articolo 21, d’intesa con decine di associazioni culturali e di categoria, ha lanciato, con tre anni di anticipo, una pubblica consultazione per evitare che il rinnovo della Concessione, questo atto così importante per la democrazia del nostro paese, fosse confinato in ristretti ambiti politico-finanziari. Da qui, l’idea di bandire un concorso rivolto ai giovani, consistente nel descrivere, in non più di dieci righe, la mission che la Rai dovrà darsi per i prossimi dieci-quindici anni. Il concorso si avvale del patrocinio dell’ EBU ed è realizzato con la collaborazione del Ministero dell’Istruzione e dell’Università.
In singolare coincidenza con questa campagna di sensibilizzazione rivolta agli studenti, le spinte alla privatizzazione e al ridimensionamento del servizio pubblico si sono intensificate: contro la Rai si è scatenata una raffica di annunci e di provvedimenti vessatori senza precedenti.
E’ utile ricostruirne le tappe. Pochi giorni dopo la incostituzionale chiusura della Tv pubblica greca, Mediobanca rende pubblico uno studio che stima in 2,5 miliardi il valore della Rai e 600 milioni di euro quello delle torri di Rai Way. E’ un assist per il viceministro Catricalà che avanza la proposta di mettere a gara la Concessione, ma anche per il ministro Saccomanni che, con la delicatezza di chi parla di corda in casa dell’impiccato, preannuncia, proprio dai teleschermi del servizio pubblico, la parziale privatizzazione della Rai. Nel frattempo il ministro Zanonato licenzia un Contratto di servizio che ipoteca il rinnovo della Concessione e spalanca le porte alla ripartizione del canone tra le varie emittenti; come se non bastasse, lo stesso ministro, con decreto ministeriale, nega alla Rai l’adeguamento del canone all’inflazione, in palese contrasto con quanto previsto dalla Legge Gasparri. Da questo punto di vista, il decreto legge del Governo in carica, che impone alla Rai di privarsi del suo sistema di trasmissione, cioè dell’unico asset che ha un reale valore di mercato, è solo una tappa, non certamente l’ultima, di un progressivo ridimensionamento del servizio pubblico: una misura, oltretutto, in controtendenza con quanto sta accadendo intorno a noi, dove, sempre più, la fanno da padrone gli “aggregatori di contenuti e di servizi”, cioè i proprietari dei dispositivi hardware e software di comunicazione, da Sky a You-tube, a Google.
Il tiro al bersaglio contro il servizio pubblico trova terreno fertile nella crisi di prestigio e di immagine della Rai, un’azienda ridotta alla stregua di “posta in palio” da una trentennale, meschina batracomiomachia. E’ pertanto di capitale importanza che le “voci di dentro”, a tutti i livelli, si facciano sentire, perché il modo più incisivo per contrastare l’opera dei privatizzatori è riconquistare la fiducia dei cittadini-utenti con programmi e servizi di qualità.