di Roberto Olla
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Ho letto e riletto il piano industriale “Progetto 15 dicembre”. La Rai vuole muoversi. Finalmente, si potrebbe commentare. Come gestire al meglio questa volontà? Troppe volte, nella storia della nostra azienda, abbiamo visto vanificare le volontà di cambiamento.
Leggendo e rileggendo il piano, si individuano alcuni problemi che potrebbero anche questa volta impedire il cambiamento. E se ciò avvenisse nella crisi che stiamo vivendo, sarebbe davvero grave. Per il pubblico che ci guarda da casa, noi siamo tutti lavoratori addetti all’elettrodomestico chiamato televisore ormai integrato alla rete e ai pc casalinghi e portatili (come, del resto, altri elettrodomestici tipo il frigorifero, il forno, il condizionatore-climatizzatore, ecc…). Facciamo parte di un unico sistema.
Leggendo e rileggendo, ho trovato una sola pagina che cita l’informazione di rete, ovvero quella prodotta fuori dalle testate giornalistiche Rai.
Eppure l’Esecutivo Usigrai ha già indicato con chiarezza la centralità di questo tema.
Questo è il primo problema: il piano industriale non prende in considerazione l’offerta giornalistica di rete (una produzione che è stata sottratta negli anni, pezzo dopo pezzo, ai vari tg) ma solo quella prodotta dalle testate.
Si vuol procedere ad una riforma globale senza riformare anche l’informazione trasferita dai tg alle reti? Mancano dei criteri guida su questa materia. A chi spetta produrre il cosiddetto “approfondimento”?
Se la volontà è di ricollocare e riformulare le rubriche rimaste ai tg (che ormai rappresentano solo una piccola parte della complessiva offerta di approfondimento) come sarà possibile ricollocarle e riformularle se l’informazione di rete rimane fuori dal “Progetto 15 dicembre”?
Da segnalare, poi, che manca l’analisi industriale delle modalità con cui avviene la produzione delle rubriche nei tg e, di conseguenza, manca anche l’analisi comparata con la produzione di analoghi prodotti giornalistici da parte delle reti.
Isolata ed analizzata così (come è presentata dal piano industriale) la situazione produttiva dei Tg appare paradossale. Un vero spreco.
Il piano analizza anche la storia degli anni passati attraverso i quali si è arrivati a questa “indifendibile” situazione.
Ma dimentica di dire, il piano, che in origine “Samarcanda” e altri prodotti erano realizzati dai Tg, poi diventati coproduzioni tra tg e reti e infine confezionati solo dalle reti. Dimentica di dire, il piano, che, ad esempio, il Tg1 aveva una sua produzione di approfondimento alla fine dell’edizione delle 20.
Se rielaboriamo l’analisi dell’offerta complessiva di news della Rai (anche nel suo percorso storico di sviluppo) mettendo assieme prodotti dei Tg e prodotti delle Reti, quali dati ci ritroviamo in mano? E, soprattutto, quali prospettive ne scaturiscono?
C’è poi un secondo punto. Il piano si riferisce costantemente alla BBC. Il paragone viene “italianizzato” con l’inserimento del modello GRR.
Si ammette (e non sarebbe possibile altrimenti) che la situazione attuale della Rai è il frutto di decenni di lottizzazione politica. Bene. Questi sono passi in avanti che il sindacato deve incoraggiare.
Però così com’è il piano sembra solo voler “fotografare” e quindi congelare la situazione attuale, col rischio di creare una situazione paradossale per cui il futuro industriale dell’azienda non più lottizzata resta in mano all’ultima lottizzazione.
Anche in questo caso non si può non tener conto dello sviluppo storico dell’azienda BBC a cui si fa riferimento. La BBC, con la sua struttura organica delle news, non ha alle spalle decenni di lottizzazione. La BBC sceglie persino il suo DG con concorsi pubblici dai criteri trasparenti. La BBC opera in un contesto nel quale la libertà di informazione è “sacra” e garantita da leggi e da consuetudini molto differenti dalle nostre.
Non mi dilungo oltre perché la situazione appare chiara.
Il problema, ora, mi pare procedurale. Ovvero come convincere il CdA e il DG che si deve procedere con una riforma globale dell’offerta informativa Rai e non solo con la parte rimasta ai Tg.
Così com’è il piano industriale non sembra innovativo ma anzi sembra piuttosto conservativo dello status quo dell’informazione di rete, ovvero di quella parte dell’offerta informativa più appetibile sul piano politico e commerciale.
Vogliamo un vero cambiamento, una vera innovazione e non un piano che rischia di trasformarsi nella difesa occulta dello status quo con l’elaborazione di un progetto che si limita a ridurre gli spazi e l’organico dei Tg.