di Carlo Paris
In pochi hanno raccontato partite di calcio, mondiali, europei, campioni del calibro di Totti, Baggio, Del Piero, Batistuta… come c’è riuscito lui.
Ignazio, per quanto si vantasse di essere gran conoscitore di calcio, e lo era, più che all’interno di una tattica, entrava nell’anima, nel cuore di una partita, di un giocatore, di un allenatore.
Prima di montarlo leggeva a noi il suo testo e mentre lo faceva, si commuoveva, piangeva.
E’ stato uno degli ultimi cantori del calcio, un giornalista che non si limitava al freddo 4\4\2 ma riusciva a dipingere una domenica del pallone raccontando due sposini che in gondola raggiungevano lo stadio di Venezia per poi narrare la partita, i gol, i protagonisti.
Curatori di programmi, conduttori ma anche operatori, montatori, tutti volevano un pezzo scritto da Ignazio Scardina perché era qualcosa di diverso che arricchiva il lavoro di tutta la squadra.
Quella bontà che emergeva dai suoi racconti la portava anche in redazione ed era veramente difficile non volergli bene.
Non era un santo, per carità, era un uomo. Per questo lo adoravo: si emozionava per una giocata del suo “pupone” Totti come per la bellezza di una donna o il sapore di una bistecca “fiorentina”.
Se si arrabbiava era meglio stargli lontano ma se avevi bisogno non potevi trovare persona migliore di lui.
Ed era onesto. Dico questo perché un processo, calciopoli, ha provato a mettere in dubbio che lo fosse. La sentenza lo ha completamente scagionato ma gli anni in attesa del giudizio lo hanno logorato, umiliato, distrutto anche nel fisico.
Paragono le vicende e le sofferenze di Ignazio Scardina a quelle di Enzo Tortora. Anche la fine è stata la stessa.
Dopo quel “calvario” giudiziario ne ha passato poi un altro tra stanze e sale operatorie di ospedali. Con una forza da leone.
Re Leone lo ha definito un collega Rai in una chat che è stata creata appositamente per lui in quest’ultimo anno. Un gigante che ha superato prove al limiti dell’umana sopportazione.
Non si è arreso, ha solo voluto cambiare aria. Il giorno prima di partire, vedendomi tornare da Gerusalemme, mi ha chiesto di tagliargli i capelli, come facevo una volta al mese in una sorta di rito tra amici.
Si voleva presentare in gran forma, forse porterà con sé uno dei tanti cachemire ed un paio di church’s che riempivano le sue valigie nelle tante trasferte insieme.
Il calcio, la Rai, noi colleghi e molti spettatori gli devono tanto, c’è un debito di tutti nei suoi confronti.
Ciao Ignazio, ti voglio bene.