di Edmondo Soave
Se compito del servizio pubblico è anche quello di illuminare le periferie – come suggeriva l’ultimo congresso dell’Usigrai a Galzignano veneto – allora Alberto Matano conduttore del TG1, col suo programma su RAI 3 “ Sono innocente” – ha scelto una tra le più lontane e meno frequentate dai media, il carcere; osservato per giunta negli angoli più inquietanti e attraverso gli occhi di chi della giustizia è stato vittima invece che fruitore.
La prima puntata è andata in onda, probabilmente non a caso, sabato 8 gennaio, cioè la prima settimana del 2017 cui fanno seguito le tradizionali inaugurazioni del nuovo anno giudiziario in tutte le sedi corte di appello d’Italia, quasi a fornire materia per un supplemento di riflessione circa i risvolti meno nobili del potere giudiziario.
Il nome del programma “Sono innocente”: più che un titolo pare l’urlo, il grido – inascoltato – di chi da un giorno all’altro si trova letteralmente gettato in un incubo di cui non riesce a capire l’origine ma è costretto ad accettarne le conseguenze.
I casi sono presi direttamente dalla cronaca, sono veri, come veri sono i volti dei “protagonisti – loro – malgrado“, portati in studio a testimoniare quanto subito.
Nella prima puntata Matano ha proposto due casi di qualche anno fa , uno dell’Italia industriale del nord , l’altro siciliano: il primo ha riguardato la vicenda allucinante di Diego Olivieri, maturo imprenditore di Vicenza ,arrestato nel 2007 per associazione mafiosa , narcotrafico e riciclaggio di danaro sporco.
L’altro ancora più delicato perché’ ha travolto la vita di una ragazza giovanissima , Maria Andò studentessa palermitana , di appena 22 anni, sottratta alla famiglia di punto in bianco e tradotta in carcere nel 2008 , per una rapina e un tentato omicidio, consumati sei mesi prima a Catania, città dove la malcapitata – così alla fine è venuto fuori – non era tra l’altro mai stata.
Due storie drammatiche, frutto di due errori giudiziari, riconosciuti tali nel primo caso addirittura dopo un anno di carcerazione preventiva, e nell’altro dieci giorni dopo l’arresto ; ed entrambe le vittime hanno visto stravolte le loro vite.
Riedizioni, viene da pensare, in sedicesimo, del caso-Tortora, quasi trentacinque anni dopo ; solo che i protagonisti qui hanno fatto meno clamore , perché non erano noti come il conduttore di Portobello; e le loro vicende – come altre ugualmente ordinarie che seguiranno nelle puntate che seguiranno- sarebbero probabilmente affogate nel dimenticatoio se “ Io sono innocente” non avesse provveduto a tirale fuori , facendo sentire ancora oggi , a distanza di anni , quel grido disperato ed impotente di vittime non credute.
I fatti di cronaca di anni addietro sono passati in TV, con ricostruzioni filmate, testimonianze , interviste in studio, seguendo sì la versione degli atti accusatori ma soprattutto riecheggiando l’angoscia delle due persone finite dietro le sbarre e ripercorrendo l’affannosa rincorsa dei parenti per sbrogliare (insieme alla difesa) una matassa intricata di intercettazioni male interpretate, di coincidenze fortuite , di omonimie casuali , leggerezze nelle indagini , a volte anche l’ ottusità di disinvolti “giustizieri” .
Una fitta tela di elementi ad incastro è venuta fuori – soprattutto nel caso dell’imprenditore vicentino – che ha catturato il telespettatore, coinvolto anche lui – emotivamente – in una rete kafkiana di esiti paradossali ma reali , con la vittima nei panni del colpevole, che non riesce a farsi ascoltare dal PM, impigliato lui stesso nel teorema costruito a tavolino.
E alla fine anche il telespettatore proprio come i protagonisti ha potuto in qualche modo quasi “ sperimentare” , con una identificazione naturale , il diritto rovesciato nel suo contrario , per cui tocca all’imputato provare la sua innocenza piuttosto che all’inquirente dimostrarne la colpevolezza.
Nel programma andato in onda però più che le parole sono state le emozioni a scuotere attraverso piccoli gesti non controllati dei due personaggi in studio: le labbra che tremano, le mani che si contorcono, gli occhi umidi, la vergogna delle manette e soprattutto il senso di impotenza che traspariva , di chi , da innocente, si sente travolto in un ingranaggio che segue ineluttabile la sua logica interna , senza alcuna considerazione per la persona.
Curiosamente sia Diego che Maria hanno riferito delle stesse umiliazioni : le foto segnaletiche , la consegna degli oggetti personali, lacci compresi, il letto in una cella “ più piccola del mio bagno” , dice l’imprenditore veneto, il terrore per la coabitazione con ergastolani che alla fine – nel caso dell’imprenditore – lasciano trasparire afflati di umanità impensati.
Ma sono emersi anche i lati noti della vita carceraria e mai affrontatati con decisione , il potere criminale del più forte che garantisce , tutela o minaccia secondo i suoi interessi , una zona franca della vita civile.
Matano ci ha volutamente risparmiato il ruolo dei media nelle due vicende ricostruite, le pagine e i servizi del giorno dell’arresto e le notizie , se ci sono pure state, in quello della scarcerazione, ma tutto il programma può essere letto – ed anche questo è servizio pubblico – come un risarcimento dovuto , magari tardivo , almeno ad alcuni di quelli che hanno gridato “sono innocente” e per qualche tempo non sono stati creduti.
E chissà che nelle relazioni alle corti di appello , che si succederanno nelle prossime settimane di inaugurazione dell’anno giudiziario, insieme ai dati e alle denunce sullo stato della giustizia , non ci sia un piccolo spazio anche per questa “ periferia esistenziale” scomoda per chi esercita il potere ma illuminata dal servizio pubblico col nuovo programma di Rai 3.
Basterebbe anche un semplice “chiediamo scusa” .