di Valter Rizzo
Una querela può capitare di doverla affrontare. Nella mia carriera mi è capitato più volte e credo che tale situazione sia piuttosto comune. Ho sempre pensato che, nella nostra professione, possa essere fisiologico che qualcuno non sia particolarmente felice quando ci occupiamo di argomenti che possono toccare interessi. Il giornalista che fa bene il suo lavoro non è quello che non prende querele, ma è semmai quello che le querele, quando le prende, le vince.
Di solito – qualche tempo fa – chi era disturbato si limitava all’annuncio della querela, poi evitava di far brutte figure in tribunale e non le presentava. Un annuncio che serviva solo ad insinuare il dubbio nell’opinione pubblica che il giornalista avesse detto cose non vere. Una tattica comunicativa alla quale di solito si risponde ricordando che le querele si fanno e non si annunciano.
Da qualche tempo però l’uso della querela è cambiato. È diventato uno strumento di intimidazione. La querela è un modo per creare un danno ingiusto, costringendo il giornalista ad un percorso giudiziario lungo e costoso, soprattutto se non si ha alle spalle un’Azienda editoriale che ti supporta.
La maggioranza delle querele che subiamo sono ormai di questo tipo. Querele temerarie, basate sul niente, che si sa perse in partenza ma che vengono attivate, spesso insieme a monumentali richieste risarcitorie, al solo scopo di intimidire e danneggiare anche economicamente il giornalista.
In questi giorni ho vinto in modo pesantissimo una di queste querele che mi è stata intentata da tale Andrea Bulgarella, un imprenditore siciliano trapiantato a a Pisa – stando alle carte delle procure e alle dichiarazioni di pentiti come Brusca – dalle liaison dangereuses. Tutte questione sulle quali – al momento della mia inchiesta – la DDA di Firenze aveva deciso di approfondire, ordinando una serie di perquisizioni nei suoi uffici. Una vicenda che in Toscana, e non solo in Toscana, aveva fatto parecchio scalpore.
E in Toscana la TGR RAI aveva deciso di fare un’inchiesta sulla presenza e le infiltrazioni economiche delle mafie (la prima e l’unica fino ad ora realizzata sull’argomento in questa regione). Ovviamente nel mio reportage veniva dato conto dell’indagine che riguardava questo personaggio. Niente di più di quello che risultava dagli atti. Nessuna attribuzione di colpevolezza (le sentenze le fanno i giudici). Bulgarella però non era abituato. Di lui i giornali toscani parlavano soprattutto per lodarne i successi economici. La Rai però in Toscana si occupa anche di altro. Facciamo inchieste sulla presenza delle organizzazioni criminali anche in questa Regione; abbiamo scoperto ad esempio personaggi e interessi economici delle mafie a Follonica, in Versilia, o sul porto di Livorno, divenuto uno degli scali più importanti per le importazioni di cocaina da parte della Ndrangheta, tutto questo in luoghi nei quali tutto sembrava lontano dalla presenza delle mafie nonostante la Toscana sia la quarta regione italiana (dopo Sicilia , Calabria e Campania) come numero di denunce per reati aggravati dall’aver favorito le organizzazioni mafiose.
Tutto questo mentre chi sta al potere a Roma preferirebbe ci occupassimo del piccolo spaccio e della microcriminalità in particolare quella addebitabile agli immigrati. Abbiamo fatto altro e abbiamo disturbato una quiete fatta di affari, investimenti economici, aziende che passano di mani e soprattutto reinvestimento di soldi illeciti.
Quello su Bulgarella era dunque solo uno dei paragrafi (neppure un capitolo) dell’inchiesta. Il nostro non solo ha querelato attribuendoci fatti specifici assolutamente falsi (sperando magari nella disattenzione dei giudici) come aver scritto che lui era stato condannato mafia, ma anche accostamenti assolutamente surreali e arbitrari tra la sua vicenda e un’intervista realizzata dalla collega Costanza Mangini ad un ex funzionario di Banca Etruria, che riguardava un altro tema dell’inchiesta. La Procura ha – come era prevedibile – chiesto l’archiviazione, ma Bulgarella non si è arreso. Spalleggiato dal suo avvocato- un noto principe del foro Palermitano – ha addirittura fatto opposizione. Ma è finito scornato ancora una volta: il GIP lo ha – se volessimo usare un termine caro a Camilleri – mandato a farsi “stracatafottere” e ha definitivamente archiviato la sua querela.
Racconto questa vicenda, perché non è un “fatto privato”, come qualcuno ha sostenuto in questi giorni.
Racconta due cose: la prima che la RAI e la TGR – con buona pace della collega Gabanelli – non segue la saga del pecorino, ma fa un giornalismo vero, basato sui fatti, con un rigoroso controllo delle fonti, che non si ferma ad aspettare le notizie ma le va anche a cercare; la seconda che non ci lasciamo intimidire.
Resta un punto di riflessione. Bulgarella ha perso miseramente in Tribunale perché la sua era una querela infondata, una tipica querela temeraria. Mi ha costretto ad un lungo iter giudiziario (circa due anni) e lo ha fatto in modo pretestuoso addirittura opponendosi all’archiviazione di una querela che sapeva basata sul niente. Per questo non pagherà nulla, neppure un centesimo. Non avrà altro fastidio che ingoiare il rospo.
Credo che su quest’ultimo punto vada intensificata la battaglia del sindacato e dell’intera nostra categoria, una battaglia per avere strumenti di difesa validi contro queste nuove forme di intimidazioni, che diventano terribili soprattutto per i colleghi meno difesi. Una battaglia che non riguarda solo i giornalisti, ma tutte le forze democratiche che si riconoscono nella Costituzione.