La libertà dei media nei paesi dell’Europa centro-orientale costituisce da anni motivo di preoccupazione per molte organizzazioni internazionali attive nel campo della tutela della libertà dell’informazione. Il pluralismo dei media è sott’attacco in moltissimi paesi d’Europa. Per questo motivo è fondamentale conoscere e confrontarsi con realtà e contesti che spesso riteniamo lontani dalla nostra quotidianità, ma che in realtà fanno parte del più piccolo continente del mondo. Un continente dove le difficoltà legate all’esercizio di un’informazione indipendente, libera e plurale minacciano il pieno esercizio della cittadinanza europea.
Quando pensiamo ai paesi dell’Europa centro-orientale dobbiamo distinguere tra i paesi che sono già membri a pieno titolo dell’Unione Europea e quelli che ne sono ancora esclusi (come la Croazia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Serbia, Bielorussia, Moldova e Ucraina). Nella fase di transizione l’Unione Europea non ha saputo imporre norme vincolanti il diritto a un’informazione indipendente, come sancito dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Emblematico è il caso dell’Ungheria, dove nel 2010 uno dei primi atti politici forti del governo di centrodestra del premier Orban, è stato l’approvazione della legge sui media, proprio poco prima della presidenza europea di turno. Una legge che obbliga i giornalisti a rivelare le loro fonti e che ha portato alla creazione di una nuova autorità per l’informazione con il compito di regolare i contenuti della stampa cartacea e on-line. Una legge immediatamente condannata dall’Ue, dall’Ocse e dalle Nazioni unite, che negli ultimi anni ha permesso il ritiro arbitrario delle licenze ai media (significativo è l caso della Klub Radio, considerata l’unica emittente d’opposizione del paese) e deteriorato l’ambiente lavorativo per i giornalisti.
Il clima di intimidazione persiste anche in Romania e in Bulgaria, anche dopo l’entrata nell’Unione Europea. Le pesanti aggressioni con tanto di minacce di morte e le irregolarità nell’attribuzione di licenze (in Bulgaria la radio K2) indicano che le riforme promesse dai governi non sono ancora davvero cominciate.
Il clima di intimidazione invade anche gli altri paesi dei Balcani. In Serbia ad esempio, è stata appena costituita una commissione d’indagine, su pressione di molti giornalisti, per far chiarezza sugli omicidi di 3 giornalisti (Radislava Dada Vujasinovic, Slavko Curuvija e Milan Pantic).
La Croazia che il primo luglio 2013 diventerà il ventottesimo paese membro dell’Unione europea la situazione è forse migliore, ma nonostante ciò, sono 5 i giornalisti che vivono sotto protezione, mentre il giornalismo d’inchiesta viene continuamente ostacolato come nel caso della giornalista Jasna Babic, arrestata e trattata come una criminale per aver rivelato gli affari sporchi di un noto imprenditore croato.
Ma ciò che condiziona il lavoro dei giornalisti è soprattutto la corruzione. I media sono spesso controllati (anche attraverso la pubblicità) dalle lobby finanziarie ed economiche vicine alla politica. Manca trasparenza e chiarezza nelle proprietà dei media. Per timore di inimicarsi il governo e dunque allontanare le imprese che investono in pubblicità, l’editore spesso fa pressione sui propri giornalisti che si autocensura per non rischiare di perdere il contratto di lavoro.
Poi c’è il fenomeno dell’uso sempre più frequente del “hate speach”, un linguaggio discriminatorio e razzista nei confronti delle minoranze etniche, religiose, politiche e di genere. La crisi economica e sociale che ha colpito i paesi negli ultimi anni è diventata un terreno fertile per l’esplosione della frustrazione contro tutte le minoranze.
Toni discriminatori e offensivi sono sempre più frequenti in Ungheria, dove i giornalisti si sentono legittimati da un governo che non pone limiti alle attività di Jobbik, il terzo partito nel paese e dichiaratamente razzista e xenofobo.
Una situazione simile si ritrova in Grecia: secondo i Reporter Senza Frontiere questo paese ha subito un’incredibile caduta fermandosi al 84° posto (meno 14) sulla classifica 2012 sulla situazione dei media. RSF denuncia una situazione sociale e professionale disastrosa per i suoi giornalisti, esposti alla condanna pubblica e alla violenza sia dei gruppi estremisti che della polizia.
In questo quadro si inseriscono numerose iniziative e attività di giornalisti che continuano a sfidare le leggi restrittive per portare avanti con dignità e in modo indipendente il proprio lavoro. Sono giornalisti che fanno parte di reti internazionali di giornalismo d’inchiesta come CIR e ICIJ (USA), OCCRB (BiH), IJC (Croazia), RCIJ (Romania), Atlatszo (Ungheria) eccetera.
Una realtà interessante è la rete proposta dall’organizzazione non governativa SEEMO (South East Europe Media Organization) che con il supporto dell’InCE (L’Iniziativa Centro Europea) promuove annualmente un forum premiando i giornalisti d’inchiesta: nel 2012 è stata la volta degli sloveni Matej Surc e Blaz Zgaga per il loro notevole lavoro investigativo sul traffico d’armi in Slovenia e in altri paesi dell’ex Jugoslavia negli anni Novanta.
E’ necessario inoltre riconoscere il preziosissimo contributo dei giornalisti professionisti che utilizzano i social media per denunciare, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi che non trovano spazio nei media tradizionali. Un giornalismo condizionato anche dal fenomeno del “citizen journalism”, dove i cittadini spesso diventano soggetti attivi dell’informazione rimpiazzando in alcuni casi gli stessi reporter.
Per garantire e tutelare un’informazione libera, indipendente e plurale l’intervento dell’Unione Europea è fondamentale. Com’è importante l’iniziativa “The European Iniziative for Media Pluralism” che raccoglie oltre numerose associazioni e organizzazioni della società civile che supportati dalle firme di cittadini europei hanno come obiettivo chiedere al parlamento europeo una legge anticoncentrazione nel settore dei media, la definizione del conflitto di interessi e sistemi di monitoraggio europei per verificare con regolarità l’indipendenza dei media negli Stati Membri.
Un dato curioso è che con il supporto di numerosi esperti e organizzazioni non governative e internazionali del campo della comunicazione in Bosnia Erzegovina è stata stilata una delle migliori leggi sui media esistenti in Europa. Ma purtroppo nella realtà di ogni giorno le regole previste dalla legge vengono ignorate trascurando il diritto dei cittadini ad un’informazione libera e plurale.
Eva Ciuk, giornalista TGR Rai Friuli Venezia Giulia e EstOvest