La celebrazione della Giornata internazionale della libertà di stampa, proclamata dall’ Onu 20 anni fa per il 3 maggio, si associa immediatamente ai tanti giornalisti che in tutto il mondo hanno sofferto – spesso fino alla morte – per la passione con cui hanno fatto il loro lavoro.
Quest’ anno l’ Unesco ha deciso di dedicare la giornata, con l’ assegnazione del ‘’Guillermo Cano World Press Freedom Prize 2013″, alla giornalista etiope Reeyot Alemu, detenuta in un carcere alla periferia di Addis Abeba per i suoi servizi critici nei confronti del governo del suo paese, mentre in Italia l’ Unione nazionale cronisti ha organizzato una manifestazione a Perugia in memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo.
Il 3 maggio è una giornata fortemente simbolica, che va coltivata con cura, perché mostra con forza che il giornalismo è fatto anche – può essere fatto anche – di grande coraggio e di grande dignità.
Non è retorica. Amedeo Ricucci e i suoi collaboratori ci dicono che non hanno fatto nient’ altro che il loro mestiere. Domenico Quirico, ne siamo sicuri, lo confermerà presto. Il problema è, appunto, ribadire questo aspetto, tranquillamente etico. ‘’Fare il proprio mestiere’’. Non eroismo. Fare del buon giornalismo. Dare valore aggiunto all’ informazione, rompere i silenzi e i segreti.
Il significato del 3 maggio deve però andare oltre, associando la cittadinanza, diventata ora una nuova protagonista del sistema dell’ informazione. Con la fine del monopolio delle notizie da parte della professione e l’ affermarsi del ‘’giornalismo diffuso’’ (quel vasto reticolo di ‘’atti di giornalismo’’ che si moltiplicano nel mondo con nuove piattaforme e nuovi supporti), nasce un altro, ampio, territorio di pratica dell’ informazione giornalistica: che va nello stesso tempo difeso, protetto e responsabilizzato.
Lo possiamo fare se le nostre istituzioni – prima fra tutte l’ Ordine dei giornalisti, che dovrebbe puntare più alla rappresentanza del giornalismo che dei giornalisti – riusciranno ad abbracciare una politica di apertura, di inclusione, rompendo con la linea di chiusura sempre più corporativa in nome di una mitica ‘’purezza’’ di principi tanto spesso smentita dalla realtà.
Il cittadino che fa del giornalismo, il giornalista volontario, il giornalista ‘’amatoriale’’ possono diventare degli alleati chiave del buon giornalismo professionale, una ulteriore ‘’forza’’ del giornalismo nel suo complesso. Ma i due mondi devono contaminarsi: curiosità, passione e impegno civico da un lato; cultura etica e professionale del giornalismo di qualità dall’ altro. Che va condivisa, diffusa e, soprattutto, praticata.
Ecco quello che forse questo 3 maggio potrebbe rappresentare. Le vicende della giornalista etiope Reeyot Alemu e dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo nel nostro paese dovrebbero parlare a tutti i cittadini, non solo ai giornalisti.
Pino Rea, Libertà di Stampa e Diritto all’Informazione (Lsdi)
Trackbacks and Pingbacks
1 commento
Comments are closed.