“Mangiapane a tradimento”. Così vennero etichettati i primi giornalisti ammessi su un campo di battaglia. Erano i tempi della guerra in Crimea, 1853, e ‘idea di avere improvvisamente fra i piedi dei testimoni scomodi, poco sensibili se non allergici alla propaganda militarista e nazionalista con cui da secoli era stata raccontata la guerra, provocò a molti generali un attacco di bile.
A ragione. Perché da allora, grazie alle cronache dal fronte dei giornalisti, la guerra venne svelata in tutto il suo orrore, un orrore che di edificante aveva ben poco e anzi si faceva beffe della retorica di cui trasudavano i comunicati-stampa degli stati maggiori.
Poi ci sì è fatta l’abitudine, alla presenza dei giornalisti, ed anche i belligeranti hanno trovato il modo per trarne vantaggio. Perché così si parlava di guerre che altrimenti sarebbero state dimenticate o che non avrebbe mai avuto un posto nell’agenda della politica.
Ho avuto modo di constatare di persona quanto gli afghani sano grati ad Ettore Mo per la copertura da lui fatta negli anni ’80 della guerra santa contro i sovietici: lo rispettano e gli sono riconoscenti, il che è una piccola ma significativa riconoscenza per i sacrifici che Ettore ha fatto, senza mai risparmiarsi, per stare sempre nel cuore degli avvenimenti.
Oggi, invece, nel 2013, nell’era della Rete, dei social network e delle tecnologie digitali, questo modo di fare giornalismo è sempre più rischioso. Perché i belligeranti, in ogni angolo del pianeta, sono in grado di scattare foto da sé, di produrre video e di scrivere articoli con cui arrivare in fretta e direttamente al grande pubblico.
E dunque hanno sempre meno bisogno di noi giornalisti, che anzi torniamo ad essere testimoni scomodi, in grado di demistificare la loro propaganda. Penso che dipenda anche da questo il tributo di sangue sempre più alto pagato dalla categoria negli ultimi anni.
Ed anche da questo dipende il deterioramento delle condizioni di sicurezza in cui ci si trova a lavorare. I numeri diffusi oggi in occasione della Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa e la Sicurezza dei Giornalisti parlano da soli. E sono significativi di un trend su cui occorre agire, per imporre un’inversione di marcia. Con la consapevolezza che la libertà di stampa è un bene comune, che va salvaguardato con l’impegno quotidiano di tutti.
A noi giornalisti spetta il dovere della testimonianza, ai governi ed anche ai cittadini il dovere di garantirla e di proteggerla. In queste ore, com’è ovvio, il mio pensiero va a Domenico Quirico, il collega della Stampa che è sparito in Siria da più di 3 settimane.
Non ci siamo mai conosciuti personalmente, ma le nostre strade si sono incrociate spesso, in Siria come in Libia e in Tunisia. Spero possa tornare presto, il più presto possibile. Perché mi mancano i suoi articoli e la sua grande umanità.
Amedeo Ricucci, giornalista e blogger